Sempre più start up cercano di risolvere il problema della scelta della vestibilità di un capo acquistato online. Ma è la tecnologia la riposta più adatta?
Quasi 11 milioni di italiani conoscono la sensazione che si prova quando si aspetta l’arrivo di un capo d’abbigliamento acquistato online: quanta gioia e ottimismo nel momento in cui si riceve quel pacco, lo si apre, si scarta il prodotto tanto desiderato e lo si prova per la prima volta. Spesso però tutte queste aspettative vengono deluse nel momento in cui scopriamo che la vestibilità del capo non è quella giusta per noi, e dobbiamo renderlo.
Negli ultimi anni il settore dell’abbigliamento online ha registrato tassi di crescita rapidissimi, non riuscendo però ancora a risolvere il problema dei resi: secondo i dati tra il 20% e il 30% dei capi acquistati viene reso, e questo costa ai retailer non solo ricavi persi, ma anche spese di spedizione in uscita e in entrata, e addirittura la perdita dei capi resi che a volte non risultano più rivendibili.
1. Un aiuto dalla tecnologia
Questa problematica è stata intercettata da una serie di start up, che hanno provato a risolverla sviluppando dei sistemi in grado di aiutare i clienti a trovare la taglia giusta del capo desiderato.
Ci sono 3 tipi di approcci:
- TrueFit, che lavora con Macy’s and Nordstrom, utilizza la logica degli algoritmi per analizzare i dati di vestibilità e raccomandare al cliente la taglia da selezionare
- Metail and Fits.me invece hanno sviluppato dei veri e propri camerini digitali in cui deimanichini virtuali simulano le dimensioni dell’utente e mostrano come un certo capo può sembrare indossato da loro
- Altre start up invece richiedono all’utente di inserire le proprie misure, e collegano questi dati con quelli di specifici capi e brand
2. Finanziamenti e sviluppo del mercato
Sono stati versati milioni di dollari di finanziamenti in questo che è ormai diventato un mercato abbastanza affollato di concorrenti.
Ad aprile del 2013 Fits.me ha raccolto 7,2 milioni di dollari in un primo round di finanziamento, solo qualche settimana dopo che il gigante dell’e-commerce Myntra ha acquistato Fitiquette, start up basata a San Francisco, per una somma non dichiarata pubblicamente.
E ancora: lo scorso dicembre Metail ha raccolto circa 4 milioni e mezzo di dollari di finanziamenti, e a marzo Ebay ha acquistato Phisix, start up di visualizzazione e modelling 3D. TrueFit, secondo un rapporto della US Security and Exchange Commission, ha ricevuto 10.5 milioni di dollari, e Steadfast Venture Capital, iniziale investitore di Spotify, ha finanziatoFitbay, startup del settore danese.
Ma nonostante tutti questi finanziamenti, nessuno ancora è riuscito a primeggiare e a offrire una soluzione concreta al problema. Perchè?
3. L’utilizzo da parte degli utenti
Le aziende che offrono soluzioni al problema della vestibilità nell’ecommerce sottolineano la necessità di creare interfacce di facile utilizzo e coinvolgenti per l’utente. Nonostante questo però la maggior parte dei sistemi fanno affidamento sul fatto che l’utente fornisca le proprie misure per il calcolo della vestibilità, e questo rappresenta un ostacolo importante all’utilizzo.
Tom Adeyoola, fondatore e CEO di Metail ha dichiarato: “I tassi di utilizzo sono al di sotto del 3%. Sono solo gli utenti più coinvolti e più inclini all’utilizzo delle tecnologie che sperimenteranno le nuove soluzioni. Poi, ovviamente, chi lo farà renderà di meno, ma c’è sempre bisogno di una certa massa critica di utilizzatori perché si registri un vero impatto sul miglioramento delle vendite.”
E’ quindi difficile per le aziende come Metail convincere i retailers che questi sistemi funzionino e abbiano un reale impatto sulle performance, e spingere così loro ad implementarli e gli utenti ad utilizzarli sempre più.
4. Difficoltà per i retailer
Per quanto riguarda i retailer invece, all’incertezza sui reali effetti dell’adozione, si aggiungono gli alti costi di implementazione dei sistemi di guida alla vestibilità virtuale.
Ecommerce come Dafiti e Warehouse collaborano con Metail per fotografare i capi d’abbigliamento e trasporre gli outfit sui propri manichini virtuali, ma questo processo costa ai retailer circa 15 dollari a capo, un costo davvero elevato.
Per produrre risultati accurati, gli algoritmi di raccomandazione della vestibilità hanno anche bisogno di grandi input di dati di misurazione dei prodotti. “Il fast fashion è una realtà in cui ogni settimana migliaia di nuovi prodotti vengono lanciati; è difficile raccogliere un certo numero di dati abbastanza velocemente da produrre in tempo utile raccomandazioni di vestibilità accurate. Inoltre questi dati sono molto costosi per i retailer” ha dichiarato Gustaf Tunhammar, CEO e co-fondatore di Virtusize.
5. La tecnologia è la risposta al problema della vestibilità?
Nonostante i manichini digitali e gli algoritmi siano tecnicamente molto avanzati, forse soluzioni più tradizionali come sistemi di votazione e commento, o tabelle di conversione delle taglie ben fatte, possono aiutare i clienti a scegliere i prodotti adatti a loro in maniera ottimale.
Al momento infatti, il panorama frammentato dei sistemi di guida alla vestibilità e il fatto che ognuno collabori con retailer diversi che testano queste soluzioni contemporaneamente, non fa che rendere tutto ancora più complicato per il consumatore finale.
Alla fine della fiera, il concetto di “stare bene” con un capo di abbigliamento è tanto scientifico quanto profondamente soggettivo. Riuscirà davvero un’azienda tecnologica a risolvere il problema?
Fonte: ninjamarketing