Aumentano in città i casi di stress, nevrosi e insonnia.
Apatie e svogliatezze, tic nervosi e irritabilità, attacchi di panico e assenza di relazioni; ecco le conseguenze di disturbi che riguardano ben oltre la metà delle persone che abitano in un centro urbano.
Disagi da non sottovalutare che si ripercuotono sulla vita quotidiana e sulla salute.
«Oltre il 30 per cento degli incidenti stradali urbani – dice Paolo Fuligni, psicologo sociale padre dell’”Ecologia urbana”, che studia il rapporto tra la metropoli e l’adattamento psichico di chi ci vive – è il risultato di disturbi del sonno. Chi dorme male va incontro a un rischio d’infortunio 12 volte superiore rispetto a chi non ha problemi di questo genere e, se la malattia non viene curata, può innescare depressioni.
All’origine del disturbo «metropolitano» c’è la frustrazione legata alla condivisione dello spazio. Traffico, code alla posta, open space amplificano l’aggressività che nasce da una sensazione di «costrizione» fisica accompagnata da quella «psichica», che scatta con l’idea di doversi adattare a una vita a stretto contatto con l’altro.
Una costrizione obbligatoria anche quando il vicino di casa o di scrivania, è maleducato e irritante.
Una sovraesposizione quotidiana a stress che può manifestarsi con scatti d’ira – ai quali è soggetto mediamente il 2 per cento di chi vive in città – oppure, come prevenzione a potenziali reazioni aggressive e pericolose, con l’isolamento e l’annullamento delle relazioni.
E’ la mancanza di rispetto delle regole condivise il disturbo antisociale, all’origine, ad esempio, del vandalismo che spinge a rompere fioriere e vetri dei mezzi pubblici.
Ma anche a parcheggiare nel posto riservato ai disabili o in seconda fila bloccando il traffico.
La paura di perdersi tra la folla, il timore di smarrire la propria identità, è la molla, invece, che spinge a scarabocchiare i muri.
Molti writers, non gli artisti, ma chi sente la necessità di imbrattare anche solo con sigle illeggibili, soffrirebbero di «narcisismo metropolitano». Chi li emula, invece, di «inquinamento comportamentale», un disturbo che riguarda anche coloro che di fronte a una cartaccia buttata per strada si sentono legittimati a buttarne un’altra.
S’insinuano in chi vive in città, poi, i timori dovuti agli allarmi contingenti, come per influenze e pandemie.
In questo caso da una corretta abitudine all’igiene si passa a ossessioni per detergenti e disinfettanti.
Per la precarietà sul lavoro, invece, entrano in gioco fattori d’ansia, disturbi legati al sonno fino, nei casi estremi, agli attacchi di panico.
Che fare, dunque?
Ciò che potrebbe rinvigorire la società è il buon proposito che vede (o vedrebbe?) le amministrazioni comunali capaci di progettare metropoli con spazi verdi, aree pedonali, viabilità meno congestionate. Città a misura d’uomo.