Si chiama Project Natal, è un prototipo pensato per Xbox 360, e destinato a soppiantare il joyopad.
LOS ANGELES – Kudo Tsunoda, un ragazzone americano d’origine giapponese, si agita nella piccola stanza bianca a Los Angeles. È alto, massiccio, con capelli lunghi e occhiali da sole marroni anni Settanta. Ma soprattutto corre da una parte all’altra sudando senza ritegno. “Il bello di Project Natal”, spiega, “è che basta il tuo corpo”. E indica il grande schermo a qualche metro da lui, dove una sagoma semi trasparente riproduce esattamente i suoi movimenti. Tutto merito di una videocamera 3d con doppio obiettivo e microfono, prototipo di un apparecchio che uscirà nel prossimo futuro per l’ultima console Microsoft, l’Xbox 360. “Ma questo non è nulla”, aggiunge Tsunoda. “Perché possiamo anche trasferire oggetti reali nei mondi virtuali, come un disegno. E i personaggi virtuali saranno in grado sia di adoperarli sia di distinguere i colori, leggere le nostre espressioni del volto e cogliere i differenti toni della voce grazie al microfono. In una parola potranno vederci e sentirci”.
Ecco come le macchine diventeranno umane, “replicanti”. E non sarà grazie a qualche mainframe usato dal solito team di ricerca del Massachusetts Institute of Technology, né all’ennesimo robot costruito a Tokyo o in qualche laboratorio militare segreto. Il merito dell’aver trasformato in realtà un vecchio presagio della letteratura fantascientifica rischia di andare al più giovane e immaturo settore dell’intrattenimento. A quei videogame fino a ieri sinonimo di cupa adolescenza e di isolamento.
Per capire cosa sta succedendo davvero bisogna fare un passo indietro e tornare all’arrivo della Wii Nintendo, uscita appena tre anni fa. Con il suo controller con sensori di movimento da agitare volta per volta come una racchetta da tennis o come una spada, è stata la prima a tentare di assomigliarci dato che tutti possono usarla senza dover imparare alcunché. Anche la Sony, nel 2003, aveva sviluppato qualcosa che andava nella stessa direzione: una videocamera da connettere alla PlayStation 2 chiamata Eye Toy che traduceva i movimenti delle mani in comandi. Tecnologia innovativa ridotta in seguito a una serie di giochi dove il massimo del divertimento era agitare le braccia davanti alla webcam per pulire vetri.
Il passo successivo? Niente più dispositivi da tenere in mano da un lato e personaggi digitali capaci di entrare nel nostro mondo dall’altro. Guidare quindi una macchina impugnando un volante immaginario e spostando in avanti o indietro il piede destro per accelerare o per frenare. Oppure muovere il palmo da destra a sinistra per sfogliare il catalogo dei giochi e dei film contenuti sull’Xbox 360. Un po’ come avveniva in Minority Report, il film di Steven Spielberg del 2002. Del resto il sessanta per cento delle famiglie americane non ha ancora una console e l’unico modo per portar loro l’intrattenimento digitale è rendere la tecnologia invisibile, stando allo stesso Spielberg.
L’aspetto davvero rivoluzionario però è il secondo. Non a caso la Microsoft ha appena nominato direttore creativo degli studi europei Peter Molyneux, game designer inglese visionario e parecchio eccentrico con una vena narrativa simile a quella di Tim Burton. “Con Project Natal raccontare storie molto, molto più profonde e coinvolgenti diventerà finalmente possibile”. Ovvero? “La camera digitale 3d funziona anche al buio essendo a infrarossi, consente dunque di inventare cose splendide e spaventose al tempo stesso. Questo potrà significare ad esempio trasferire il soggiorno del giocatore dentro un videogame e far apparire qualcuno all’improvviso in casa sua. Potremo farlo camminare dietro di lui, farlo sedere al suo fianco, fare in modo che lo guardi negli occhi e gli faccia delle domande precise. Magari che gli chieda in prestito gli occhiali o di esser presentato agli altri membri della famiglia”. E state lavorando a qualcosa di simile? “Stiamo lavorando a tante cose differenti”, continua glissando Molyneux. “Il primo impulso, inevitabile, è utilizzare questa tecnologia nei generi di videogame più popolari. Poco importa se sparatutto, arti marziali, corse in macchina. Eppure la sua forza non sta nel cambiare l’esistente, che comunque non sparirà, ma nel permettere di creare quel che oggi non c’è. È una porta aperta su un universo emotivo del tutto nuovo”.
Possiamo quindi cominciare a immaginare un futuro nel quale il lavoro dei game designer e degli sceneggiatori di giochi non sarà più quello di costruire invasioni aliene o luoghi pieni di zombie. Si concentreranno invece nel dare forma a personalità digitali complesse da inserire poi in ambienti digitali così articolati e fusi con il nostro che magari non avranno nemmeno più bisogno di una trama precisa. Perché saremo noi stessi a metterla in piedi. O, al contrario, se i progetti di Molyneux dovessero restare in buona parte su carta, ci ritroveremo con uno strambo Tamagotchi che fa solo finta di ascoltarci perché ostacolato da troppi limiti tecnici e da una programmazione superficiale.
Comunque vada, nel farsi più umane le console perderanno sempre più la loro identità di macchine. Nessuno infatti parla più di velocità del processore, di grafica, di memoria. “Il motivo è semplice”, rivela Shigeru Miyamoto, “padre” di Super Mario e mente creativa della Nintendo. “Tutti ci siamo accorti che dedicare troppa attenzione all’hardware è sbagliato, ora conta solo il tipo di esperienza e le emozioni che si possono trasmettere”.