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L’uso di Facebook in ufficio è una pratica che molto spesso le aziende vietano o, almeno, fanno in modo di limitare, ma Zuckerberg sembra essere deciso a far cambiare idea ai datori di lavoro, e per farlo punta tutto su Facebook at Work, versione professionale del noto social network che permetterà alle aziende di strutturare una rete sociale interna, chiusa e riservata.
Fino a non molti anni fa, le persone utilizzavano Facebook e i Social network in generale, per postare informazioni istintivamente, senza preoccuparsi troppo del contenuto e delle foto ad esso associate.
Rinnovamento, Digital Darwinism, “C Generation” e trasformazione digitale: le riflessioni di Brian Solis sull’evoluzione nel mondo digitale
#AdaptOrDie
No, non si tratta di cyberbullismo o di una nuova sfida social in stile Ice Bucket Challenge. “Adapt or die” è l’hashtag che lega, come un fil rouge, alcune delle riflessioni più interessanti di Brian Solis sul futuro che è già realtà. Il digital analyst, antropologo e, come lui stesso si definisce, futurologo ci invita a riflettere, tra i post del suo blog e con il suo ultimo libro in uscita “Digital Darwinism”, sull’importanza del mutamento.
Ho visto una borsa che mi piace su un sito e-commerce. La voglio acquistare. Cosa faccio?
Molto probabilmente, cerco un negozio fisico per vedere il prodotto dal vivo e toccarlo con mano. Mi informo se il prezzo a cui mi offre la borsa lo store online corrisponde a quello del punto vendita che ha la borsa che desidero. Poi, valuto le spese di spedizione, l’affidabilità del servizio di pagamento, ricerco recensioni di utenti che già hanno acquistato quel determinato prodotto dal sito e-commerce in cui sto navigando.
La prima fase, quella della nascita e diffusione del content marketing come tecnica per accrescere la visibilità del brand, promuovere l’autorevolezza dell’azienda, coinvolgere e fidelizzare il target, si può dire ormai conclusa: proprio perché ha ormai preso piede, d’ora in poi gli uffici marketing delle aziende dovranno focalizzarsi di più sulle strategie di pubblicazione e distribuzione dei contenuti, che non sul solo fatto di produrli.
La connessione emotiva, l’empatia, è tanto importante nei rapporti umani quanto nel marketing. Nel melting pot creato dall’era digitale fare Emotional Branding diventa fondamentale per poter emergere dal rumore di fondo che si è inevitabilmente venuto a creare, quando i target passivi si sono trasformati in massa in stakeholders attivi. Ogni marketer sa bene quanto sia importante il marchio, perché permette di stabilire “familiarità”, un vero e proprio legame emotivo con i clienti che permette di distinguere un brand dai concorrenti. Coca-Cola, Apple, Ferrari, McDonald, Mtv, Disney, Gucci, Chanel o Armani: il loro successo trascende il logo, trasformandosi in vero e proprio affetto stabilito con i clienti. In mezzo a questo turbinìo di emozioni che determinati brand sono in grado di suscitare è tangibile come la creazione di un legame emotivo apporti un contributo sensazionale alla redditività dell’azienda.
L’emotional branding fa in modo di differenziare un brand da un altro quindi, creando profonde relazioni intrinseche tra brand e consumatori. Quando tra questi si stabilisce una relazione emotiva il legame diventa più forte, quasi indissolubile, che porta la fedeltà al marchio ad un livello superiore dove il consumatore è più propenso a soprassedere sul prezzo e spesso anche a difetti sulla qualità del prodotto. Solo un approccio di marketing personalizzato e basato su insight è in grado di formare un forte legame con un brand. Fornire emozioni, soluzioni (da intendere anche come soluzioni e aiuti psicologici) non un mero prodotto è quello che cercano i consumatori 3.0. Il dominio del social media marketing rende ancora più forte la necessità di creare legami personali con i clienti.
Per creare un legame emotivo ci vuole più di un buon marketing; per fare del buon emotional branding bisogna anteporre e mettere in risalto le esigenze dei propri clienti a quelle del proprio prodotto. Vediamo come.
1. Sposta l’attenzione
Pensate di parlare ad una platea di persone non di consumatori. Pensate ad un’esperienza da creare non solo a dei prodotti. Pensate ad instaurare un dialogo non solo a divulgare informazioni.
L’emotional branding funziona al meglio quando si parla al singolo non ad una massa; una persona che vive, lavora, pensa e sogna riuscendo a convogliare il suo desiderio. Ciò funziona quando si conosce davvero la propria audience; studiarne identità e desideri aprirà la strada alla costruzione di un ottimo emotional branding.
2. Crea materiale coinvolgente e condivisibile
La condivisione è la forma migliore di pubblicità perché sincera e gratuita. Diventare virali o dei meme non ha prezzo, analizzate quindi quello che state creando in modo da personalizzarlo e adattarlo a questo tipo di approccio.
3. Scopri e spingi gli “Hot Buttons”
Il veterano del marketing Barry Feig parla di “hot buttons“, ossia tasti emotivi da spingere per convincere la gente ad acquistare: desiderio di controllo, eccitazione della scoperta, valori della famiglia, desiderio di appartenenza, divertimento come ricompensa, mancanza di tempo, desiderio di ottenere di meglio, auto-realizzazione, diventare più intelligenti, potere/influenza, infine la più classica realizzazione di un desiderio. La lista è piuttosto lunga ma non è necessario “spingere” tutti i bottoni: pensate al vostro target ideale e individuatene tre o quattro che si rivolgano maggiormente a loro e concentrate i vostri sforzi di branding su di loro.
4. Racconta una storia
Lo storytelling è quello che – da secoli – usiamo per creare relazioni emotive. Chi di voi è riuscito a riprendersi dalla morte di Mufasa?
Le storie non sono necessariamente nuda cronaca anzi, le storie migliori sono quelle che ci rimangono impresse anche molto tempo dopo che abbiamo chiuso il libro. Lo stesso vale per il business storytelling. Se volete che il vostro cliente continui a pensare a voi assicuratevi di narrare una storia per farli sentire quello che vogliono sentirsi.
5. Lascia un sentimento forte
L’obiettivo non è quello di dare più informazioni possibili sul vostro brand o sul vostro prodotto. Quello che deve sopravvivere alla vostra adv è la sensazione che si è provata. Nel mini-film girato da Baz Luhrmann per Chanel N.5 il profumo è citato per qualche secondo alla fine dello spot ma la sensazione di glamour estremo, trasgressione, femminilità e trasporto sono il vero fulcro di questo piccolo capolavoro d’advertising.
Questo è il modo migliore per distinguersi dalla concorrenza, andare controcorrente. Far sorridere… o piangere.
Fonte: ninjamarketing
I social network sono uno strumento sempre più imprescindibile per gli agenti immobiliari. Non solo dal punto di vista professionale – per raggiungere clienti, promuovere servizi, costruirsi una “reputazione” – ma anche per confrontarsi sulla propria attività lavorativa, scambiarsi idee ed opinioni. In poche parole: fare gruppo.