FiorellaMannoiaFiorella Mannoia (Fiore per gli amici e i suoi fans) è così: una nuvola di riccioli rossi, dalla voce profonda e drammatica che trascina con sé le folle. Il pubblico, le donne specialmente, la segue ovunque. I nostri cantautori più bravi fanno a gara per offrirle canzoni. Come dimostra ‘Il movimento del dare’, il nuovo album scritto per lei fra gli altri da Luciano Ligabue, Franco Battiato e Tiziano Ferro. Insomma, per la cantante romana si direbbe giunto il momento di raccogliere il frutto di anni di lavoro e di scelte coraggiose.

Fiorella Mannoia. Sceglie lei le canzoni oppure sono loro a scegliere lei?
“Le scelgo in base a quel che dicono. Sono un’interprete. Ciò che canto mi deve rappresentare. Rivendico con orgoglio di essere riuscita valorizzare brani che non avevano avuto l’attenzione che meritano”.

Come seleziona il repertorio?
“Le canzoni devono adattarsi alla mia tonalità, ma soprattutto avere contenuti e concetti di cui posso assumermi la responsabilità”.

Nei suoi concerti colpisce l’affetto che il pubblico femminile le dimostra. Sembra che le donne la considerino un’amica, una sorella maggiore, una di cui fidarsi.
“Il sigillo lo ha messo ‘Quello che le donne non dicono’. Una canzone scritta da Enrico Ruggeri che è diventata quasi un inno. Al di là di questo, con le donne non sono mai stata in competizione ma piuttosto una complice, questo loro lo sentono”.

Un premio alla coerenza?
“Coerente lo sono stata nelle scelte che ho fatto e nelle posizioni che ho preso. Anche per questo credo che il rispetto e l’affetto che mi circonda vada al di là delle cose che canto. E di questo vado molto fiera”.

A proposito di ‘Quel che le donne non dicono’. Come ha reagito quando è stata scelta per lo spot di una marca di calze?


“Mi hanno chiesto il consenso e io gliel’ho dato. Le canzoni, una volta fatte, camminano con le loro gambe. Mi sarei opposta se si fosse trattato di un prodotto che non condividevo”.

Crede che la canzone popolare abbia ancora un ruolo importante nella formazione della coscienza civile?
“Per la mia generazione certamente sì. Le canzoni di Fabrizio De André hanno contribuito a farmi diventare l’adulta che sono oggi. Mi ricordo ancora il giorno in cui ascoltai per la prima volta ‘Tutti morimmo a stento’. Sono tornata a casa stordita. Come se qualcuno per la prima volta mi avesse aperto la finestra del mondo dicendo: ‘Guarda, la vita è anche questo, ci sono i perdenti, ci sono i deboli. Una umanità che non hai mai incontrato ma che esiste'”.

Marianne Faithfull sostiene che le canzoni sono come un testo teatrale. Che per interpretarle deve ogni volta entrare nel personaggio. Qual è il suo metodo?
“Lo stesso. Non mi distraggo mai da quello che sto cantando. Sono sempre sulle parole. Quello che dico lo vedo davanti a me, come un film. Tutte le sere lo rivedo e tutte le sere cambia. Per un attore è lo stesso. L’intenzione è quella che conta”.

I suoi modelli?
“Non ho avuto modelli femminili, solo maschili. Le cantanti italiane che ammiravo da bambina avevano tutte una estensione vocale che non mi sono mai potuta permettere. Quindi ho seguito più Battisti che Mina. E ho cantato soprattutto canzoni di uomini. Devo puntare al testo, all’emozione. Quella è la mia forza come interprete e come attrice”.

Quindi si è concentrata sul repertorio dei cantautori… gli incontri fondamentali?
“Il più fortunato e più duraturo è stato quello con Ivano Fossati. Importante anche quello con Enrico Ruggeri, che ha firmato tanti miei successi e da cui è partito tutto. E dopo di lui De Gregori, un altro grandissimo. Penso alla sua ‘Giovanna d’Arco’, una delle canzoni più belle che io abbia mai cantato”.

E dei cantautori di oggi cosa pensa?
“Adoro Tiziano Ferro. Un autore di grandi potenzialità, come da tempo non avevamo. Mi piace molto anche Jovanotti”.

Com è cambiato il modo di scrivere delle nuove leve?
“Rispetto a quello usato dai Fossati e dai De Gregori il linguaggio si è un po’ impoverito. Ma non è detto che non si arrivi lo stesso a toccare le corde dell’emozione. Bisogna fare i conti con questo nuovo tipo di scrittura. Non riconoscerlo significa essere fuori dalla contemporaneità”.

 

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