robotGiulio Sandini e la sua famiglia di ingegneri hanno un figlio in acciaio e silicio.
Si chiama iCub, “cucciolo” in inglese.
Ma non è né un cucciolo né un bimbetto. E’ un robot.
Ha 5 anni e sta imparando a parlare, giocare a palla e col Lego.
Per veder un cucciolo di robot in prima elementare servirà del tempo, ma anche quel momento arriverà, perché la caratteristica di iCub rispetto ai cugini umanoidi di tutto il mondo è quella di avere un cervello nato per imparare.
Al suo sviluppo si interessano sia gli ingegneri dell’Istituto italiano di tecnologia (Iit) e dell’università di Genova sia un’équipe di neuroscienziati delle università di Ferrara e di Uppsala in Svezia.
“Il robot bambino nota una palla in movimento, la segue con gli occhi, poi allunga la mano e cerca di afferrarla” spiega Giorgio Metta, ricercatore dell’Iit e dell’università di Genova.
“La prima volta sbaglia il movimento. Ma il computer che lo guida è in grado di calcolare l’errore, ridurlo e azzerarlo nel giro di qualche tentativo. Il tutto senza interventi esterno dei programmatori”.
Dagli errori e difficoltà del cucciolo in acciaio e silicio i neuroscienziati studiano come isolare i nodi cruciali che un vero bambino incontra nel suo sviluppo.
“Molte teorie cercano di spiegare cosa accade nel cervello quando si impara qualcosa di nuovo. Il modo migliore per dimostrarle è usare un sistema di riferimento artificiale” spiega Luciano Fadiga, neuroscienziato dell’università di Ferrara, nell’ampio reportage che Nature ha appena dedicato a iCub.

All’università di Plymouth e all’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione al Cnr di Roma, per esempio, utilizzano un gemello del robot-bambino per insegnargli a parlare e dimostrare o meno l’attendibilità della teoria della “grammatica universale” di Chomsky.
Mostrando a iCub una tazza blu, i ricercatori ripetono la parola “tazza blu” fino a quando il collegamento non viene memorizzato dal cervello.
“Le mani sono invece l’aspetto su cui ci concentriamo a Genova” spiega Sandini, professore all’università della città e direttore di ricerca all’Iit. “Gesticolare e manipolare gli oggetti sono aspetti fondamentali dell’interazione con gli altri. Vogliamo che iCub diventi abile in questo”.
Una delle condizioni del programma europeo che finanzia iCub con 8,5 milioni di euro è che ogni laboratorio possa partecipare alla crescita cognitiva del robot bambino, come avviene con Linux.
Qualunque gruppo di ricerca può farsi recapitare un kit di montaggio da Genova. Per questo, oltre alla scuola Sant’Anna di Pisa e alla ligure Telerobot, la rete di iCub comprende altre 7 università europee.
Alla fine del 2010, i gemelli del robot bambino saranno una ventina e il loro modo di imparare avrà colonizzato anche Turchia e Stati Uniti.