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Categoria: Notizie Pagina 8 di 28

Wi-Fi in tutte le scuole entro il 2012

E’ partita ieri alle 12 l’ operazione Wi-fi a scuola. Come sappiamo il progetto era stato presentato lo scorso 20 aprile e vedrà il suo completamento entro la fine del 2010. Nel frattempo si prevede che, nei prossimi sei mesi, 5.000 scuole saranno collegate a internet,in modalita’ Wi-fi, e che a fine 2012 lo saranno tutti i circa 14.000 istituti scolastici italiani.

Al momento si sono prenotate già 800 scuole per avere il kit Wi-fi  ha sottolineato il ministro Brunetta aggiungendo che il sogno e’ ‘dare il kit a tutti i bambini delle scuole elementari‘.

L’investimento che dovrà sostenere lo stato per l’operazione Wifi è di 5 milioni di euro per la prima fase. Seguirà un costo di altri 5 milioni di euro per l’anno prossimo con l’impegno del ministro Brunetta a incrementare le risorse anche attraverso la ricerca di sponsor.
Ogni impianto costa circa 1000 euro e l’introduzione del Wifi servirà ai docenti per la didattica, per l’utilizzo della lavagne interattive e anche per gli studenti.

Fonte: http://mobile.hdblog.it

Arriva SafeHouse, nuovo WikiLeaks

E stato appena lanciato un nuovo concorrente di WikiLeaks, si chiama SafeHouse e promette di pubblicare in maniera sicura e anonima corrispondenze, email, banche dati, riguardanti il lavoro del governo americano. SafeHouse, o meglio WSJleaks, è la prima delle alternative editoriali al modello più anarchico lanciato da Julian Assange. Lungi dal seguire puramente scopi etici, il progetto conta di guadagnare seguendo la scia del predecessore, con le informazioni raccolte dai tracker in giro per il mondo. Kevin Delaney, managing editor di WSJ.com ha spiegato che “il progetto è nato dopo varie discussioni tra i redattori. Abbiamo già varie fonti che ci forniscono documenti, sia cartacei che telematici, su temi politici internazionali. Il passo successivo era quello di creare una struttura che si occupasse solo di questo: ricevere e pubblicare tali documenti, rilevanti per l ‘ economia politica americana e internazionale.

Sebbene SafeHouse affermi di godere di un sistema interno di protezione dei documenti, sembra che la realtà dei fatti sia diversa. Qualche giorno fa l’esperto di sicurezza Jacob Appelbaum, si è scagliato contro SafeHouse su Twitter a poche ore dal lancio, denunciando numerose falle di sicurezza nel sistema centrale. In particolare la denuncia di Appelbaum si basava sul fatto che il sistema di protezione Web non sia realmente attivato sul sito di SafeHouse. Quando un utente va all’indirizzo, si offre un link alla versione protetta Https senza però usare un meccanismo chiamato Strict Transport Security che consente di passare ad una connessione cifrata. Qualunque hacker alle prime armi può usare strumenti per far credere ad un utente, che potenzialmente sta caricando documenti e informazioni rilevanti, di utilizzare la versione cifrata quando invece il traffico è completamente aperto. Un ulteriore critica riguarda il fatto che sul sito di SafeHouse si legge della possibilità di rivelare qualsiasi informazione sulle fonti alle autorità competenti, lasciando più di un dubbio sul perché un utente dovrebbe mettersi in pericolo in questo modo. La scelta di creare un modello basato su WikiLeaks da parte del WSJ sorprende se si considera che il giornale ha una delle posizioni più conservatrici e filo-governative degli Usa. Già in passato aveva rifiutato di pubblicare alcuni cables svelati da Assange che era stato bollato come un “nemico degli Stati Uniti”.

Il rischio, secondo opinionisti americani, è che lo strumento messo in azione dal WSJ possa diventare un mezzo per accontentare diverse parti. Prima di tutto i novelli investigatori della Rete che avranno la reale possibilità di inviare notizie scottanti sull’operato del governo, ma anche le stesse autorità di controllo che vedrebbero nella direzione del WSJ un potente alleato per rendere note solo alcune notizie, quelle meno compromettenti. A questo proposito, la reticenza del WSJ nei confronti della trasparenza potrebbe essere un punto a favore per coloro che desiderano ridurre al minimo i danni collaterali. Sembrerebbe che il mercato delle rivelazioni si stia spostando verso un campo più strettamente commerciale e decisamente orientato alla targetizzazione dello scoop. In ogni caso verso un nuovo capitolo del giornalismo post WikiLeaks.

Fonte: http://www.lastampa.it

Skype fa gola ai giganti web Google e Facebook trattano

TORNA l’incrocio tra grande finanza e il mondo dei social network. Nel giorno in cui il social network cinese Renren sbarca a Wall Street raccogliendo quasi 750 milioni di dollari dagli investitori, ripartono a sorpresa le trattative per la vendita di Skype. La notizia è rimbalzata dall’altra sponda dell’Atlantica e vale doppio: a contendersi il controllo della società famosa tra gli utenti del web perché concede la possibilità di telefonare anche gratuitamente sono addirittura i due colossi del mondo internet: Google e Facebook.

Fonti finanziarie vicine alla trattative, hanno confermato che le due società hanno avviato trattative parallele, una all’insaputa dell’altra, per rilevare il pacchetto di maggioranza di Skype (circa il 70% delle azioni) al momento in mano a un gruppo di investitori privati (tra cui un fondo pensione canadese) che l’aveva rilevato da eBay nel 2005 per 1,9 miliardi di dollari. In realtà, i proprietari di Skype stanno valutando cosa convenga di più tra la vendita al maggior offerente tra Google e Facebook e la quotazione della società in Borsa. È da tempo, infatti, che i consulenti del provider telefonico stanno lavorando per lo sbarco a Wall Street, con un valutazione che si aggira tra i 3 e i 4 miliardi di dollari.

Google e Facebook non hanno voluto commentare la notizia anche per non alimentare l’asta abilmente organizzata dai vertici di Skype. Ma è indubbio che quest’ultima non possa che passare di mano a breve: nonostante i suoi 124 milioni di contatti a mese, la redditività di Skype – proprio per la gratuità dei suoi servizi – è molto limitata e la pubblicità non è mai decollata. Per questo motivo, la prossima fase di crescita non può che passare attraverso un’alleanza di carattere industriale.

Del resto, il momento appare finanziariamente favorevole. Come ha dimostrato il successo della quotazione di Renren, che in cinese significa letteralmente “uomo uomo” e che si può quindi tradurre con “tutti quanti”. Il clone cinese di Facebook, è il primo social network a sbarcare a Wall Street, dove ha raccolto 743,4 milioni di dollari, pari a 67 volte il fatturato dello scorso anno. In pratica, il doppio della valutazione di Facebook da parte degli analisti, che è ferma a 25 volte le entrate 2010 (50 miliardi). Il che potrebbe invogliare i manager di Facebook ad accelerare i tempi della quotazione, ora prevista per la primavera del 2012. Del resto, se ha avuto successo Renren, che può vantare il maggior numero di pagine visitate in Cina e realizza in un solo paese circa un quarto degli utenti di Facebook nel mondo (117 milioni contro 500) perché non dovrebbe averlo anche la creatura di Mark Zuckerberg?

Fonte: http://www.repubblica.it

Sony, nuovo attacco hacker nel mirino 26 milioni di utenti

ROMA – Un nuovo attacco hacker verso Sony. Sono stati compromessi i dati di altri 24,6 milioni di clienti, costringendo Sony Online Entertainment a sospendere i propri servizi per chi gioca online, stavolta non con la PlayStation ma con il Pc. Per il network dell’azienda nipponica si tratta del secondo attacco hacker nelle ultime settimane 1, che porta i dati compromessi a oltre 100 milioni di conti.

Sony non ritiene che i dati sulle carte di credito siano stati violati in questo secondo attacco, ma gli hacker potrebbero aver rubato i dati delle carte di credito ai 12.700 conti non americani e 10.700 numeri di conto correnti bancari da un “datato database del 2007”.

Il primo attacco. Prima di quella di oggi, un’altra intrusione nel PlayStation Network, la rete a cui si collegano gli utenti di console Sony per giocare online e scaricare contenuti, aveva scatenato una bufera sull’azienda nipponica, a causa del possibile furto di milioni di dati sensibili degli utenti iscritti. Un attacco a cui Sony ha tentato di riparare tempestivamente, aggiungendo un bonus economico sulle utenze di di tutti gli iscritti al network con il programma Welcome back. Anche se al momento, il PSN è ancora offline, Sony dichiara che il servizio sarà ripristinato quanto prima e agli utenti sarà chiesto di cambiare la password, obbligatoriamente.
Il primo tentativo di hackeraggio ha interessato 77 milioni di
utenti, che con i 24,6 milioni dell’altro network che, precisa Sony, lavora in maniera separata. Al momento, scrive l’azienda in una nota, si contano circa 23.000 numeri di carte di credito di utenti di tutto il mondo che sono probabilmente già nelle mani degli hacker. Il tutto rafforzato da indiscrezioni sul web che vedrebbero questi dati già in vendita al mercato nero.

In una mail di servizio inviata ai propri clienti dopo l’attacco del 17 aprile, sony aveva spiegato di aver “tempestivamente preso misure per migliorare la sicurezza” di Psn e “rafforzare l’infrastruttra del network”. Aveva inoltre invitato gli utenti “ad essere particolarmente vigili nei confronti di truffe via email e posta cartacea che chiedano informazioni personali o dati sensibili”

Fonte: http://www.repubblica.it

Google Shopping parte anche in Italia

MILANO Arriva oggi anche per gli utenti italiani Google Shopping, un vero e proprio motore di ricerca integrato a quello più tradizionale, che raccoglie ed elenca i prodotti dei vari store online dei diversi commercianti.

Chi volesse fare un acquisto, per esempio una macchina fotografica, potrà trovare in un’unica pagina tutte le offerte di diversi venditori, comprensive di prezzo, caratteristiche tecniche e recensioni degli utenti.

Il servizio, già attivo in America e nel Regno Unito, è totalmente gratuito sia per gli acquirenti sia per i negozianti; questi ultimi devono comunque avere un proprio sito internet contenente i prodotti, ed essere già attrezzati per gestire le transazioni della vendita: Google, in pratica, fa solo da tramite tra cliente e negozio, potenziando però la visibilità degli oggetti sul suo motore di ricerca.

Fonte: http://www.lastampa.it

Rubati da hacker dati di 77 mln di utenti di Playstation network

SAN FRANCISCO –  Il blocco del network 1 di quanti giocano on line con la Playstation era solo l’avvisaglia di un problema più grande. Sony ha rivelato stasera che un hacker, definito “persona non autorizzata”, ha rubato i dati personali de 77 milioni di abbonati al network. Secondo l’azienda nipponica sono stati trafugati, oltre ai nomi degli utenti, gli indirizzi, le email, le date di nascita, gli username e le password, gli estremi dei pagamenti delle bollette. Al momento non è emersa alcuna prova che il pirata informatico sia riuscito a entrare in possesso anche dei dati delle carte di credito dei clienti. Tuttavia questa eventualità non può essere esclusa a priori.

“Al momento – si legge nella nota della Sony – la prudenza è d’obbligo, per cui dobbiamo avvertire tutti che è possibile che l’hacker abbia ottenuto i numeri delle carte di credito e la data di scadenza, ma non il codice di sicurezza”.

La casa giapponese, informa il Wall Street Journal, ha già incaricato una grande azienda che si occupa di sicurezza informatica di mettersi al lavoro per avviare le indagini su quanto è accaduto.

Il colosso dell’elettronica giapponese ha poi comunicato che il servizio della piattaforma, sospeso dal 20 aprile, dovrebbe essere ristabilito entro questa settimana. Tramite il network i 77 milioni di utenti possono giocare assieme, ma anche affittare film in tv o ‘chattare’ tra di loro.

Fonte: http://www.repubblica.it

Libertà su Internet: l’Estonia è il paradiso, Cina e Iran i cattivi

L’Estonia è la più libera e l’Iran quella meno, mentre la repressione più sofisticata avviene in Cina e nei prossimi 12 mesi la situazione peggiorerà in Russia, Venezuela, Giordania e Zimbabwe: sono le conclusioni contenute nel rapporto «Freedom on the Net 2011», nel quale la Freedom House di Washington denuncia le violazioni dei diritti universali sul web.

Lo studio divide il pianeta in nazioni libere, non libere e parzialmente libere, prendendo ad esempio del primo gruppo otto Paesi – Estonia, Stati Uniti, Germania, Australia, Gran Bretagna, Italia, Sud Africa e Brasile -, fra i quali quello di Tallinn emerge come il maggiore garante di libertà di accesso, diffusione di contenuti e rispetto dei diritti degli utenti. Gli Stati Uniti sono in seconda posizione, perché sebbene l’accesso al web rimanga in gran parte «più libero e giusto rispetto al resto del mondo», soprattutto grazie ad una serie di sentenze a difesa dei diritti degli utenti, hanno un tallone d’Achille nell’estensione della rete a banda larga e nella velocità di connessione, senza contare che i poteri di sorveglianza del governo «preoccupano». Fra i «Paesi liberi» esaminati, l’Italia è al terz’ultimo posto, perché «negli ultimi anni il governo ha introdotto diverse leggi che pongono serie minacce alla libertà online», come ad esempio «rendere i siti responsabili per i video messi online dagli utenti» e l’«obbligo di onerose registrazioni per le comunicazioni online». In particolare, «la tendenza a restringere la libertà su Internet è frutto della struttura della proprietà dei media in Italia, dove il primo ministro Silvio Berlusconi possiede, direttamente o meno, un grande conglomerato privato» che «lo può incentivare a restringere il libero flusso di informazioni online per ragioni politiche o per condizionare la competizione sugli spettatori dei video online». Il rapporto sottolinea anche che in Italia Internet raggiunge il 49 per cento della popolazione, ovvero un livello più alto della media del resto del mondo, ma considerevolmente più basso degli altri Paesi industrializzati. Ciò che invece distingue l’Italia è guidare la classifica Ocse sulla penetrazione dei cellulari.

Il gruppo dei Paesi non liberi include 11 nazioni, la cui classifica ascendente sulla base delle restrizioni è: Thailandia, Bahrein, Bielorussia, Etiopia, Arabia Saudita, Vietnam, Tunisia, Cina, Cuba, Birmania e Iran. L’ultimo posto va a Teheran, perché «sin dalle proteste che seguirono le dubbie elezioni presidenziali del 12 giugno 2009, le autorità hanno condotto una dura campagna contro la libertà su Internet, inclusa la decisione di rallentarne la velocità e di adoperare gli hackers per neutralizzare i siti dell’opposizione». E inoltre «un crescente numero di blogger viene minacciato, arrestato, torturato e messo in cella di isolamento» fino all’estremo di «uno di loro deceduto in prigione».

In fondo alla classifica anche i generali birmani e la Cuba di Raúl Castro, ma è alla Cina che il rapporto dedica l’analisi più approfondita, perché «Pechino ha messo in piedi il più sofisticato sistema di controllo di Internet». Si tratta di un complesso di misure «divenute più restrittive negli ultimi anni» che vedono Facebook e Twitter «bloccati in maniera permanente» portando allo sviluppo di «alternative locali ostacolate dalla censura». Nella regione dello Xinjiang, teatro di una rivolta etnica, l’interruzione di Internet è durata «un mese intero» ed almeno 70 persone sono state arrestate per aver commesso «crimini online» diffondendo informazioni sulla repressione.

Le nazioni «parzialmente libere» prese in esame dal rapporto sono invece 18, e fra loro spicca la Russia di Dmitry Medvedev, per la possibilità di un «deterioramento grave nei prossimi 12 mesi» a seguito dell’entrata in vigore di leggi restrittive della libertà online per molti versi simili a quelle del Venezuela di Hugo Chavez. Fra i Paesi che rischiano di diventare «non liberi» c’è il Pakistan, dove lo scorso anno il governo ha creato un comitato ad hoc che può decidere di bloccare i siti sulla base di «offese molto vaghe allo Stato o alla religione».

Riguardo alla repressione delle libertà online, Freedom House individua dei comportamenti omogenei da parte di più regimi che aumentano la censura in risposta alla maggiore diffusione dei social network, spingendosi ad arrestare i blogger, lanciando cyberattacchi contro i siti dissidenti e sfruttando la struttura centralizzata della rete per limitarne gli accessi.

Fonte: http://www.lastampa.it

Spesa e bilanci pubblici “Mettiamo tutto sul web”

ROMA – Una spesa pubblica che da oggi diventa navigabile per tutti: regione per regione e per ogni singolo settore di spesa. I bilanci di tutti gli 8094 comuni italiani che in un futuro prossimo saranno consultabili online con i voti agli amministratori migliori e alle città più virtuose. E’ la rotta degli open data “all’italiana”: i dati pubblici liberi, prodotti o in possesso della pubblica amministrazione, che vengono condivisi per favorirne il riutilizzo senza restrizioni di alcun tipo.

Stati generali. La definizione un po’ didascalica giova a liberare il campo dai fraintendimenti: dai dati privati (quelli per intenderci ricavabili dai social network) o che arrivano per vie traverse (vedi Wikileaks). E i soggetti che si sono dati appuntamento per gli stati generali dei dati aperti nel nostro paese, nella giornata “La politica della trasparenza e dei dati aperti”, organizzata da “Agorà Digitale”, “Linked Open Data” e Radicali Italiani, alla precisione ci tengono.

Il progetto OpenSpending. La concretezza prima di tutto allora. Chi ha lavorato al progetto presentato oggi lo ha definito “un ponte verso il resto del mondo”. In realtà si tratta di un passo piccolo rapportato al panorama dei dati aperti nel resto del mondo (Usa e Regno Unito in testa, ma anche Australia e Canada), ma che lascia almeno intravedere le potenzialità degli strumenti di cui stiamo parlando. Si tratta del progetto Open Spending dell’Open Knowledge
Foundation, una piattaforma che mira rendere più semplice per il pubblico esplorare e comprendere i bilanci. A questo indirizzo 1 da oggi è in linea la visualizzazione nella spesa pubblica italiana negli anni che vanno dal 1996 al 2008.

Conti pubblici navigabili. I dati sono quelli dei Conti pubblici territoriali forniti dal Dipartimento del Tesoro. “L’utente”, spiega Stefano Costa (uno degli sviluppatori), può andare a confrontare il livello complessivo della spesa tra le diverse regioni, considerando amministrazione centrale e locale. La ripartizione minima è per anni e per settori e consente confronti cronologici”. In altre parole, ciascun cittadino può sapere quanto è stato speso nella propria regione durante un determinato anno per l’istruzione, la cultura o qualsiasi altro settore. “E’ chiaro”, continua Costa, “che con questi primi dati le operazioni possibili sono ancora limitate. Ma a breve prevediamo di riuscire a incrociare questo dataset con quelli dell’Unione Europea, già sulla piattaforma, soffermandoci, per esempio, sui finanziamenti che arrivano nei vari paesi. Insomma vedere chi dà i soldi e chi li riceve”. Quella possibilità di scoprire collegamenti e utilizzare i dati in modi inattesi che nel campo dei dati aperti si chiama “serendipity”.

Bilanci comunali aperti. L’altro progetto su cui la comunità open data punta molto è stato chiamato “Open Bilancio” ed è nato dalla collaborazione tra due soggetti attivi da tempo nel settore: “OpenPolis” (autore di OpenParlamento) e “Linked Open Data”. “Si tratta”, spiega Vittorio Alvino di OpenPolis, “di aprire i bilanci degli 8094 Comuni italiani dal 1998 ad oggi e di connetterli ad altri dati pubblici in modo da permettere un confronto tra singoli Comuni attraverso un filtro per singole voci di bilancio”. Le possibilità anche in questo caso sono illuminanti: “I dati di bilancio potrebbero essere messi a confronto”, continua Alvino, “con i responsabili politici e amministrativi (sindaci in primis), permettendo di stilare non solo una graduatoria della città ideale ma un rating di sindaci e amministrazioni, creando degli indicatori di efficienza”. I tempi del progetto in questo caso sono più lunghi: i primi dati dovrebbero essere disponibili entro la fine dell’anno.

Manca una politica organica. Ma qual è lo stato del movimento “open data” italiano? A detta degli stessi addetti ai lavori si vive un momento di “ebollizione”. Le molte iniziative che si sviluppano, spiegano un po’ tutti gli oratori, “vengono quasi tutte dal basso, da organizzazioni no profit. “Tranne rare e lodevoli eccezioni”, spiega Ernesto Belisario di “Open Government”, “non esiste una politica organica di open data in Italia. Ognuno fa il suo svincolo. Il carburante però manca, perché i dati spesso non ci sono”. Altra nota, a livello locale si registrano aperture maggiori rispetto alle resistenze che frenano il movimento soprattutto a livello centrale. Eppure i dati aperti avrebbero anche risvolti economici da non sottovalutare, se è vero, spiegano alcuni dei presenti, che il progetto Mepsir dell’Unione Europea, nel 2006 aveva quantificato in 27 miliardi di euro il valore del settore.

La vera trasparenza è lontana. A dispetto dell’interesse che arriva da soggetti istituzionali come l’Istat, che con il suo presidente, Enrico Giovannini, annuncia un nuovo sito internet come prototipo di una “statistica 2.0, con le persone al centro”, una vera trasparenza soprattutto nel settore della pubblica amministrazione sembra ancora lontana. Mentre il presidente dell’Autorità per la protezione dei Dati personali, Francesco Pizzetti pone l’accento sul rischio di violare i dati sensibili e il diritto all’oblio, sono le parole di Antonio Martone, presidente della Civit (la Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche) a restituire il quadro meno incoraggiante. “Gli strumenti normativi (la legge 15/2009 e il dlgs 150) darebbero già molti strumenti necessari”, spiega Martone, ma a un anno dall’insediamento della Commissione i problemi restano.

Problemi nostri e modelli virtuosi. L’applicazione della legge, ad esempio non è automatica per Regioni, province e Comuni, quindi ne risente la pubblicazione dei curricula e delle retribuzioni di chi ha incarichi di indirizzo politico amministrativo. A volte ammette Martone sembrerebbe “una battaglia contro i mulini a vento”, se è vero secondo i dati, da lui stesso comunicati, che solo “il 50% dei Ministeri e il 42% degli enti pubblici non economici nazionali si sono adeguati alle linee guida in materia di trasparenza”. Ci vuole tempo, è il messaggio della Commissione, che stima in 5 anni il tempo per avere dei risultati. Sarà anche così, ma quando al microfono si alternano Jonathan Gray, dell’Open Knowledge Fountation, Simon Rogers, responsabile del Datastore di The Guardian e Ben Brandzel, cofondatore di Avaaz.org 2, una banale ricevuta delle spese di Tony Blair dà il senso di tutta la strada che dovrà ancora fare il movimento dei dati aperti in Italia.

Fonte: http://www.repubblica.it

L’innovazione non abita qui Italia dietro Barbados e Oman

ROMA – Il World Economic Forum (Wef) boccia l’Italia in tecnologia e innovazione e stronca le politiche del governo. L’impietosa pagella è nell’ultimo rapporto (435 pagine) dell’organizzazione indipendente internazionale.  È il decimo anno che il Wef pubblica un Global Information Technology Report e ogni volta va sempre peggio per l’Italia, nella classifica che analizza 138 Paesi mondiali. Ora siamo 51esimi, sotto Paesi come India, Tunisia, Malesia. Abbiamo perso tre posizioni nell’ultimo anno. Nel 2006 eravamo 38esimi: un tracollo costante. Questa classifica è un giudizio sull’essenza innovativa di un Paese. L’indice del Wef infatti ne analizza la capacità di trasformare le tecnologie in vantaggi per la vita quotidiana delle persone e per l’economia. Tanto più si è in cima alla classifica- dominata anche quest’anno da Svezia e Singapore- tanto più significa che il progresso è penetrato a fondo nelle strutture economiche e nella società di quel Paese, migliorandolo.

Il Wef, per arrivare a questo giudizio, considera numerosi indicatori oggettivi (rilevati da organizzazioni indipendenti come le Nazioni Unite) e li correla: si va dalla diffusione di internet e cellulari, alla qualità dell’istruzione fino alle politiche statali a favore dell’innovazione e dello sviluppo tecnologico. Ed è proprio per questo aspetto che l’Italia incassa una strigliata dal World Economic Forum. Nel capitolo in cui analizza l’Europa, comincia con le lodi alla Francia, Germania, ma poi nota
“all’estremo opposto, Paesi come la Grecia e l’Italia”. Il Wef accomuna Grecia e Italia anche nei consigli: dovrebbero migliorare fattori propedeutici al progresso (minori tasse e burocrazia, più libertà di stampa, tra le altre cose), aumentare l’adozione delle nuove tecnologie e, soprattutto, mettere informatica e telecomunicazioni al centro delle politiche nazionali. È qui la critica severa al governo. Quello italiano è giudicato al 113esimo posto, nel mondo, per apertura all’innovazione e al 89esimo per uso delle tecnologie. Fa peggio della Grecia per entrambi gli aspetti. “Lo Stato italiano investe molto meno degli altri europei per diffondere la cultura tecnologica, tra l’altro. Ma è stato in grado di spendere oltre un miliardo di euro nel digitale terrestre”, nota Maurizio Dècina, ordinario di reti e comunicazioni al Politecnico di Milano.

Altri Paesi invece galoppano. Molti di quelli emergenti sono giudicati più pronti e aperti all’innovazione. Così il Wef mette il Costa Rica tra i casi eccellenti dell’ultimo anno, per aver investito in alfabetizzazione informatica e ridotto gli ostacoli al commercio di beni tecnologici, tra le altre cose. Così quest’anno ha superato l’Italia, nella classifica, per la prima volta.

Da noi qualcosa bolle in pentola, ma siamo ancora alla fase delle idee, per sbloccare la situazione. Un gruppo di docenti ed esperti, dietro il portale Agendadigitale. org, sta raccogliendo proposte di legge di parlamentari bipartisan. Il ministro all’Innovazione e alla Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, si è detto disponibile a esaminarle nelle prossime settimane. Obiettivo, creare la prima Agenda Digitale italiana, cioè un piano programmatico di governo per lo sviluppo tecnologico.

Fonte: http://www.repubblica.it

Il marchio della Regione Puglia sul concerto del Primo maggio

Puglia, sempre più marchio da esportazione. Nuovo colpaccio per l’ente Regione guidato da Nichi Vendola: sarà main sponsor per lo storico Concertone del Primo Maggio a Roma, che quest’anno sfida le celebrazioni per la contemporanea beatificazione di papa Giovanni Paolo II. L’accordo si deve all’assessore al Mediterraneo Silvia Godelli, per la quale l’occasione sarà perfetta per lanciare il progetto Puglia events: sarà il portale ufficiale per tutti gli eventi che si svolgono nella nostra regione durante l’anno, guida preziosa per programmare le vacanze in base a festival, concerti e sagre e soprattutto per non limitare il soggiorno al solo periodo estivo. Nei giorni scorsi era già partita la chiamata a raccolta per operatori culturali pubblici e privati che volessero inserire le proprie iniziative sul portale, che lavorerà in parallelo con viaggiareinpuglia. it, altro strumento turistico in mano alla Regione.

La partecipazione all’evento romano organizzato da Cgil, Cisl e Uil diventa dunque l’ennesima opportunità per la Puglia di uscire dai suoi confini, di farsi conoscere, presentarsi nella sua veste migliore e risultare irresistibile. Il fascino, d’altronde, l’ha subito per ultimo Italia Wave, il maggior festival rock italiano che, dopo 25 anni in Toscana, ha deciso di trasferirsi proprio a Lecce, dove a metà luglio si esibiranno artisti del calibro di Lou Reed, Paolo Nutini e Kaiser Chiefs. Che dire poi di un gruppo collaudato come i Negramaro, chiamati a partecipare all’Heineken jammin’ festival (il 10 giugno a Venezia), dopo averci messo piede anni fa al fianco dei Depeche Mode?

A giorni saranno resi noti i dettagli e l’ammontare dell’investimento, ma ancora una volta echeggia quello che è da sempre un cavallo di battaglia di Vendola: puntare tanto sulla cultura, a differenza di quanto accade nel resto d’Italia. In un periodo di tagli, la Puglia va quindi in controtendenza. Sfidando anche quanti sono pronti a lamentare un disinteresse delle istituzioni per i veri problemi dei cittadini, e rispondendo ancora una volta che il turismo è volano dell’economia. Lo dimostrano del resto le centinaia di migliaia di persone che si radunano a Melpignano per la Notte della Taranta, a fine agosto  –  evento tra l’altro felicemente esportato addirittura in Cina  –  così come durante l’inverno è il turno della Fòcara di Novoli.

Sarà un bel cartellone pubblicitario, quello allestito dalla Puglia per il Primo Maggio in piazza San Giovanni. L’edizione 2011, legata ai 150 anni dell’Unità, porterà per la prima volta sul palco Ennio Morricone con l’inedito “Elegia per l’Italia”, oltre a Gino Paoli con “Và pensiero”. E giusto per rimanere in tema, tra gli artisti c’è anche Caparezza, un nome da tutto esaurito in ogni data del suo “Eretico tour”. Chi meglio di lui, profetico, qualche anno fa, con l’irresistibile “Vieni a ballare in Puglia”?

Fonte: http://bari.repubblica.it

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