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Categoria: Approfondimenti Pagina 19 di 25

Skype fa gola ai giganti web Google e Facebook trattano

TORNA l’incrocio tra grande finanza e il mondo dei social network. Nel giorno in cui il social network cinese Renren sbarca a Wall Street raccogliendo quasi 750 milioni di dollari dagli investitori, ripartono a sorpresa le trattative per la vendita di Skype. La notizia è rimbalzata dall’altra sponda dell’Atlantica e vale doppio: a contendersi il controllo della società famosa tra gli utenti del web perché concede la possibilità di telefonare anche gratuitamente sono addirittura i due colossi del mondo internet: Google e Facebook.

Fonti finanziarie vicine alla trattative, hanno confermato che le due società hanno avviato trattative parallele, una all’insaputa dell’altra, per rilevare il pacchetto di maggioranza di Skype (circa il 70% delle azioni) al momento in mano a un gruppo di investitori privati (tra cui un fondo pensione canadese) che l’aveva rilevato da eBay nel 2005 per 1,9 miliardi di dollari. In realtà, i proprietari di Skype stanno valutando cosa convenga di più tra la vendita al maggior offerente tra Google e Facebook e la quotazione della società in Borsa. È da tempo, infatti, che i consulenti del provider telefonico stanno lavorando per lo sbarco a Wall Street, con un valutazione che si aggira tra i 3 e i 4 miliardi di dollari.

Google e Facebook non hanno voluto commentare la notizia anche per non alimentare l’asta abilmente organizzata dai vertici di Skype. Ma è indubbio che quest’ultima non possa che passare di mano a breve: nonostante i suoi 124 milioni di contatti a mese, la redditività di Skype – proprio per la gratuità dei suoi servizi – è molto limitata e la pubblicità non è mai decollata. Per questo motivo, la prossima fase di crescita non può che passare attraverso un’alleanza di carattere industriale.

Del resto, il momento appare finanziariamente favorevole. Come ha dimostrato il successo della quotazione di Renren, che in cinese significa letteralmente “uomo uomo” e che si può quindi tradurre con “tutti quanti”. Il clone cinese di Facebook, è il primo social network a sbarcare a Wall Street, dove ha raccolto 743,4 milioni di dollari, pari a 67 volte il fatturato dello scorso anno. In pratica, il doppio della valutazione di Facebook da parte degli analisti, che è ferma a 25 volte le entrate 2010 (50 miliardi). Il che potrebbe invogliare i manager di Facebook ad accelerare i tempi della quotazione, ora prevista per la primavera del 2012. Del resto, se ha avuto successo Renren, che può vantare il maggior numero di pagine visitate in Cina e realizza in un solo paese circa un quarto degli utenti di Facebook nel mondo (117 milioni contro 500) perché non dovrebbe averlo anche la creatura di Mark Zuckerberg?

Fonte: http://www.repubblica.it

Un futuro da social dipendenti?

La stavo aspettando da qualche tempo. E’ arrivata. Cosa?
La pubblicazione ufficiale dei risultati della ricerca internazionale “The world unplugged experiment”dell’International Center for Media & the Public Affairs (ICMPA) in partnership con la Salzburg Academy on Media & Global Change.
1000 “nativi digitali” (under 25); 10 nazioni del mondo coinvolte (America, Cina,Messico, Slovacchia, Uganda, Cile, Libano, Gran Bretagna, Argentina, Hong Kong) una sfida degna di una puntata di “Ai confini della realtà”: 24 ore disconnessi da ogni da mezzo di comunicazione.

Dopo queste 24 ore senza telefonino e Internet ai partecipanti è stato chiesto di esprimere il loro stato d’animo e le considerazioni in merito
I nativi digitali di tutto il mondo hanno dichiarato di aver trascorso le 24 ore in preda ad ansia, depressione, isolamento, desolazione, irritazione, paranoia, angoscia e in crisi di identità.

Entrando nello specifico ecco i risultati più sorprendenti e comuni in tutti i paesi:
– Tutti i partecipanti sono diventati consciamente consapevoli di “dipendere” dai media e di avere avuto conseguenze rilevanti, per lo più negativamente, sul proprio stato d’animo durante le 24 ore dell’esperimento.
– Gli studenti hanno definito il cellulare un’estensione del proprio corpo e della propria personalità senza il quale la vita è inimmaginabile ed hanno dichiarato che tecnologia, Internet e social media sono essenziali per costruire e gestire le amicizie e la vita sociale.
– I giovani sviluppano un pericoloso e fuorviante metodo di rappresentare il sè, diverso a seconda dei social network usati, con conseguenze anche significative sullo sviluppo della personalità.
– I sentimenti comuni a tutti i partecipanti all’esperimento dopo qualche ora dall’inizio della prova erano per lo più noia e vuoto esistenziale, molti hanno volontariamente interrotto l’esperimento.
– Il telefonino rappresenta una fonte insostituibile di sicurezza.
– La sovraesposizione mediatica massiccia provoca nei giovani il rigetto dalle news tradizionali: le notizie le trovano attraverso i loro telefoni cellulari o su Internet, attraverso messaggi di testo, Facebook, Twitter, chat, IM di Skype, QQ, email, ecc., non da fonti autorevoli, ma per lo più dalla rete di amici.

Questo esperimento ha, per l’ennesima volta, dimostrato, se ce ne fosse ancora stato bisogno, che la pervasività dei vecchi e nuovi media ha un impatto decisivo sulla percezione del sè, le relazioni sociali, la relazione con la realtà quotidiana, la coscienza critica e lo sviluppo della personalità degli individui ed è vitale insegnare, sopratutto ai nativi digitali, ad avere un corretto rapporto con i media e con il ruolo che essi hanno nella loro vita.

E’ altresì imprescindibile focalizzare l’azione formativa per far comprendere ai nativi digitali come distinguere tra realtà e finzione, quali sono le fonti attendibili e non attendibili e come navigare consapevolmente senza diventare tossicamente travolti e distratti.

A questo punto il riconoscimento politico e istituzionale della questione della REPONSABILITA’ SOCIALE DELLE IMPRESE PERSUASIVE è una questione cruciale; quanto tempo ancora servirà per prendere seriamente in considerazione il problema, perché di questo si tratta, del rapporto tra nativi digitali e la loro evoluzione nell’esperienza umana?

E’ davvero urgente, molto urgente, che famiglie, istituzioni, consumatori, centrali educative e comunità scientifica prendano velocemente coscienza dell’impatto di questo problema decisamente sottoconsiderato, prima che sia tardi per porvi rimedio e che vengano elaborate strategie ottimali per educare responsabilmente le giovani generazioni a convivere convenientemente con le tecnologie persuasive.

Fonte: http://www.corriereinformazione.it

L’iPhone traccia gli utenti? La polemica esplode sul web

ROMA – Il caso l’ha aperto un articolo di O’Reilly, ed è di quelli che in pochi secondi fanno il giro del web. Secondo i ricercatori Alasdair Allan e Pete Warden, dalla versione 4 in poi il sistema operativo di iPhone e iPad (versione 3G) tiene traccia di posizioni e movimenti dell’utente, e i dati vengono salvati in un file nascosto che resiste alla formattazione degli apparecchi. I due hanno poi realizzato un’applicazione che permette di visualizzare graficamente questi dati su una mappa geografica. Scaricandola, un utente può vedere rappresentato sullo schermo ogni suo movimento negli ultimi mesi: una possibilità che sta sollevando più di quale perplessità sul fronte della privacy.

Siamo spiati? La polemica sulla possibilità che Apple sia in grado di raccogliere questi dati è esplosa subito. La privacy degli utenti è a rischio? Le informazioni sensibili vengono vendute a terze parti? Secondo i ricercatori di O’Reilly, Apple raccoglie questi dati e addirittura li ripristina su successivi backup dei dispositivi. Ma Alex Levinson, un terzo ricercatore esperto di gestione dati forense, smentisce i colleghi: Cupertino non raccoglie queste informazioni, e inoltre, il file incriminato non sarebbe nascosto nei meandri di iOs, ma non sarebbe neppure nuovo. Dice Levinson: “Il file esisteva già, anche se non in questa forma, e nelle ultime versioni del sistema operativo ne è stata modificata la posizione. Si tratta di un semplice “log”, un elenco di dati che servono all’iPhone per funzionare come gli si richiede e nulla più”.

Per una serie di ragioni, Apple “ha dovuto spostare il file”, e aggiunge Levinson: “Il file non solo non è segreto o trasmette informazioni. Ma soprattutto ogni utente deve preventivamente approvare l’accesso di un’applicazione alla sua posizione geografica, un consenso che può essere interrotto in qualsiasi momento dal pannello di controllo del dispositivo”.

E’ tutto nei termini di servizio.
In realtà, il vespaio sollevato dalla notizia è più consistente della rilevazione stessa. Nei termini di servizio che l’utente accetta quando attiva il suo iPhone, è scritto chiaramente che si conferisce ad Apple il diritto di raccogliere questo tipo di dati “in forma anonima e non ricollegabile alla persona fisica”. E gli elementi di geolocalizzazione sono tra l’altro anche a disposizione degli operatori telefonici da molto prima dell’avvento dell’iPhone. Senza considerare che difficilmente chi ruba un telefono si interessa a dove è stato il legittimo possessore in precedenza.
Inoltre, che il file in questione (si chiama consolidated.db) sia raggiungibile con un minimo di perizia tecnica, non pone più problemi che averlo nel computer, sincronizzato ogni volta che si connette lo smartphone o il tablet ad iTunes. Attraverso questo programma è però possibile crittografare il backup del dispositivo e mettere al sicuro i dati. Per chi invece avesse operato il “jailbreak” sul dispositivo (azione non illegale ma che invalida la garanzia), c’è l’utility Untrackerd, che si occupa di cancellare continuamente il file in questione.

Berlino: “Apple spieghi”. Il governo tedesco ha chiesto spiegazioni alla Apple sulla vicenda:
“Ci sono alcune questioni aperte che devono essere chiarite dalla Apple in collaborazione con l’autorità competente per la protezione dei dati” in Germania, ha detto il ministro per la Protezione dei consumatori, Ilse Aigner. La Apple, secondo il governo tedesco, deve rendere di dominio pubblico dove queste informazioni vengono memorizzate, per quanto tempo e a quale scopo. Inoltre, Berlino vuole sapere dal colosso californiano chi ha accesso a queste informazioni e quali sono i meccanismi di protezione che impediscono un eventuale accesso non autorizzato ai dati.

Garante per la privacy apre un’inchiesta. L’Autorità Garante per la protezione dei dati personali ha deciso di aprire un’istruttoria sull’argomento. Il garante, che ha già da tempo avviato accertamenti sulle app per smartphone, ha deciso di allargare le verifiche anche a questo particolare caso e chiederà informazioni ad Apple, oltre ad avviare accertamenti tecnici. L’attività di indagine sarà condotta in collaborazione con altre Autorità europee per la privacy, che si sono già attivate nei confronti della società di Cupertino.

Fonte: http://www.repubblica.it

Libertà su Internet: l’Estonia è il paradiso, Cina e Iran i cattivi

L’Estonia è la più libera e l’Iran quella meno, mentre la repressione più sofisticata avviene in Cina e nei prossimi 12 mesi la situazione peggiorerà in Russia, Venezuela, Giordania e Zimbabwe: sono le conclusioni contenute nel rapporto «Freedom on the Net 2011», nel quale la Freedom House di Washington denuncia le violazioni dei diritti universali sul web.

Lo studio divide il pianeta in nazioni libere, non libere e parzialmente libere, prendendo ad esempio del primo gruppo otto Paesi – Estonia, Stati Uniti, Germania, Australia, Gran Bretagna, Italia, Sud Africa e Brasile -, fra i quali quello di Tallinn emerge come il maggiore garante di libertà di accesso, diffusione di contenuti e rispetto dei diritti degli utenti. Gli Stati Uniti sono in seconda posizione, perché sebbene l’accesso al web rimanga in gran parte «più libero e giusto rispetto al resto del mondo», soprattutto grazie ad una serie di sentenze a difesa dei diritti degli utenti, hanno un tallone d’Achille nell’estensione della rete a banda larga e nella velocità di connessione, senza contare che i poteri di sorveglianza del governo «preoccupano». Fra i «Paesi liberi» esaminati, l’Italia è al terz’ultimo posto, perché «negli ultimi anni il governo ha introdotto diverse leggi che pongono serie minacce alla libertà online», come ad esempio «rendere i siti responsabili per i video messi online dagli utenti» e l’«obbligo di onerose registrazioni per le comunicazioni online». In particolare, «la tendenza a restringere la libertà su Internet è frutto della struttura della proprietà dei media in Italia, dove il primo ministro Silvio Berlusconi possiede, direttamente o meno, un grande conglomerato privato» che «lo può incentivare a restringere il libero flusso di informazioni online per ragioni politiche o per condizionare la competizione sugli spettatori dei video online». Il rapporto sottolinea anche che in Italia Internet raggiunge il 49 per cento della popolazione, ovvero un livello più alto della media del resto del mondo, ma considerevolmente più basso degli altri Paesi industrializzati. Ciò che invece distingue l’Italia è guidare la classifica Ocse sulla penetrazione dei cellulari.

Il gruppo dei Paesi non liberi include 11 nazioni, la cui classifica ascendente sulla base delle restrizioni è: Thailandia, Bahrein, Bielorussia, Etiopia, Arabia Saudita, Vietnam, Tunisia, Cina, Cuba, Birmania e Iran. L’ultimo posto va a Teheran, perché «sin dalle proteste che seguirono le dubbie elezioni presidenziali del 12 giugno 2009, le autorità hanno condotto una dura campagna contro la libertà su Internet, inclusa la decisione di rallentarne la velocità e di adoperare gli hackers per neutralizzare i siti dell’opposizione». E inoltre «un crescente numero di blogger viene minacciato, arrestato, torturato e messo in cella di isolamento» fino all’estremo di «uno di loro deceduto in prigione».

In fondo alla classifica anche i generali birmani e la Cuba di Raúl Castro, ma è alla Cina che il rapporto dedica l’analisi più approfondita, perché «Pechino ha messo in piedi il più sofisticato sistema di controllo di Internet». Si tratta di un complesso di misure «divenute più restrittive negli ultimi anni» che vedono Facebook e Twitter «bloccati in maniera permanente» portando allo sviluppo di «alternative locali ostacolate dalla censura». Nella regione dello Xinjiang, teatro di una rivolta etnica, l’interruzione di Internet è durata «un mese intero» ed almeno 70 persone sono state arrestate per aver commesso «crimini online» diffondendo informazioni sulla repressione.

Le nazioni «parzialmente libere» prese in esame dal rapporto sono invece 18, e fra loro spicca la Russia di Dmitry Medvedev, per la possibilità di un «deterioramento grave nei prossimi 12 mesi» a seguito dell’entrata in vigore di leggi restrittive della libertà online per molti versi simili a quelle del Venezuela di Hugo Chavez. Fra i Paesi che rischiano di diventare «non liberi» c’è il Pakistan, dove lo scorso anno il governo ha creato un comitato ad hoc che può decidere di bloccare i siti sulla base di «offese molto vaghe allo Stato o alla religione».

Riguardo alla repressione delle libertà online, Freedom House individua dei comportamenti omogenei da parte di più regimi che aumentano la censura in risposta alla maggiore diffusione dei social network, spingendosi ad arrestare i blogger, lanciando cyberattacchi contro i siti dissidenti e sfruttando la struttura centralizzata della rete per limitarne gli accessi.

Fonte: http://www.lastampa.it

Spesa e bilanci pubblici “Mettiamo tutto sul web”

ROMA – Una spesa pubblica che da oggi diventa navigabile per tutti: regione per regione e per ogni singolo settore di spesa. I bilanci di tutti gli 8094 comuni italiani che in un futuro prossimo saranno consultabili online con i voti agli amministratori migliori e alle città più virtuose. E’ la rotta degli open data “all’italiana”: i dati pubblici liberi, prodotti o in possesso della pubblica amministrazione, che vengono condivisi per favorirne il riutilizzo senza restrizioni di alcun tipo.

Stati generali. La definizione un po’ didascalica giova a liberare il campo dai fraintendimenti: dai dati privati (quelli per intenderci ricavabili dai social network) o che arrivano per vie traverse (vedi Wikileaks). E i soggetti che si sono dati appuntamento per gli stati generali dei dati aperti nel nostro paese, nella giornata “La politica della trasparenza e dei dati aperti”, organizzata da “Agorà Digitale”, “Linked Open Data” e Radicali Italiani, alla precisione ci tengono.

Il progetto OpenSpending. La concretezza prima di tutto allora. Chi ha lavorato al progetto presentato oggi lo ha definito “un ponte verso il resto del mondo”. In realtà si tratta di un passo piccolo rapportato al panorama dei dati aperti nel resto del mondo (Usa e Regno Unito in testa, ma anche Australia e Canada), ma che lascia almeno intravedere le potenzialità degli strumenti di cui stiamo parlando. Si tratta del progetto Open Spending dell’Open Knowledge
Foundation, una piattaforma che mira rendere più semplice per il pubblico esplorare e comprendere i bilanci. A questo indirizzo 1 da oggi è in linea la visualizzazione nella spesa pubblica italiana negli anni che vanno dal 1996 al 2008.

Conti pubblici navigabili. I dati sono quelli dei Conti pubblici territoriali forniti dal Dipartimento del Tesoro. “L’utente”, spiega Stefano Costa (uno degli sviluppatori), può andare a confrontare il livello complessivo della spesa tra le diverse regioni, considerando amministrazione centrale e locale. La ripartizione minima è per anni e per settori e consente confronti cronologici”. In altre parole, ciascun cittadino può sapere quanto è stato speso nella propria regione durante un determinato anno per l’istruzione, la cultura o qualsiasi altro settore. “E’ chiaro”, continua Costa, “che con questi primi dati le operazioni possibili sono ancora limitate. Ma a breve prevediamo di riuscire a incrociare questo dataset con quelli dell’Unione Europea, già sulla piattaforma, soffermandoci, per esempio, sui finanziamenti che arrivano nei vari paesi. Insomma vedere chi dà i soldi e chi li riceve”. Quella possibilità di scoprire collegamenti e utilizzare i dati in modi inattesi che nel campo dei dati aperti si chiama “serendipity”.

Bilanci comunali aperti. L’altro progetto su cui la comunità open data punta molto è stato chiamato “Open Bilancio” ed è nato dalla collaborazione tra due soggetti attivi da tempo nel settore: “OpenPolis” (autore di OpenParlamento) e “Linked Open Data”. “Si tratta”, spiega Vittorio Alvino di OpenPolis, “di aprire i bilanci degli 8094 Comuni italiani dal 1998 ad oggi e di connetterli ad altri dati pubblici in modo da permettere un confronto tra singoli Comuni attraverso un filtro per singole voci di bilancio”. Le possibilità anche in questo caso sono illuminanti: “I dati di bilancio potrebbero essere messi a confronto”, continua Alvino, “con i responsabili politici e amministrativi (sindaci in primis), permettendo di stilare non solo una graduatoria della città ideale ma un rating di sindaci e amministrazioni, creando degli indicatori di efficienza”. I tempi del progetto in questo caso sono più lunghi: i primi dati dovrebbero essere disponibili entro la fine dell’anno.

Manca una politica organica. Ma qual è lo stato del movimento “open data” italiano? A detta degli stessi addetti ai lavori si vive un momento di “ebollizione”. Le molte iniziative che si sviluppano, spiegano un po’ tutti gli oratori, “vengono quasi tutte dal basso, da organizzazioni no profit. “Tranne rare e lodevoli eccezioni”, spiega Ernesto Belisario di “Open Government”, “non esiste una politica organica di open data in Italia. Ognuno fa il suo svincolo. Il carburante però manca, perché i dati spesso non ci sono”. Altra nota, a livello locale si registrano aperture maggiori rispetto alle resistenze che frenano il movimento soprattutto a livello centrale. Eppure i dati aperti avrebbero anche risvolti economici da non sottovalutare, se è vero, spiegano alcuni dei presenti, che il progetto Mepsir dell’Unione Europea, nel 2006 aveva quantificato in 27 miliardi di euro il valore del settore.

La vera trasparenza è lontana. A dispetto dell’interesse che arriva da soggetti istituzionali come l’Istat, che con il suo presidente, Enrico Giovannini, annuncia un nuovo sito internet come prototipo di una “statistica 2.0, con le persone al centro”, una vera trasparenza soprattutto nel settore della pubblica amministrazione sembra ancora lontana. Mentre il presidente dell’Autorità per la protezione dei Dati personali, Francesco Pizzetti pone l’accento sul rischio di violare i dati sensibili e il diritto all’oblio, sono le parole di Antonio Martone, presidente della Civit (la Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche) a restituire il quadro meno incoraggiante. “Gli strumenti normativi (la legge 15/2009 e il dlgs 150) darebbero già molti strumenti necessari”, spiega Martone, ma a un anno dall’insediamento della Commissione i problemi restano.

Problemi nostri e modelli virtuosi. L’applicazione della legge, ad esempio non è automatica per Regioni, province e Comuni, quindi ne risente la pubblicazione dei curricula e delle retribuzioni di chi ha incarichi di indirizzo politico amministrativo. A volte ammette Martone sembrerebbe “una battaglia contro i mulini a vento”, se è vero secondo i dati, da lui stesso comunicati, che solo “il 50% dei Ministeri e il 42% degli enti pubblici non economici nazionali si sono adeguati alle linee guida in materia di trasparenza”. Ci vuole tempo, è il messaggio della Commissione, che stima in 5 anni il tempo per avere dei risultati. Sarà anche così, ma quando al microfono si alternano Jonathan Gray, dell’Open Knowledge Fountation, Simon Rogers, responsabile del Datastore di The Guardian e Ben Brandzel, cofondatore di Avaaz.org 2, una banale ricevuta delle spese di Tony Blair dà il senso di tutta la strada che dovrà ancora fare il movimento dei dati aperti in Italia.

Fonte: http://www.repubblica.it

L’innovazione non abita qui Italia dietro Barbados e Oman

ROMA – Il World Economic Forum (Wef) boccia l’Italia in tecnologia e innovazione e stronca le politiche del governo. L’impietosa pagella è nell’ultimo rapporto (435 pagine) dell’organizzazione indipendente internazionale.  È il decimo anno che il Wef pubblica un Global Information Technology Report e ogni volta va sempre peggio per l’Italia, nella classifica che analizza 138 Paesi mondiali. Ora siamo 51esimi, sotto Paesi come India, Tunisia, Malesia. Abbiamo perso tre posizioni nell’ultimo anno. Nel 2006 eravamo 38esimi: un tracollo costante. Questa classifica è un giudizio sull’essenza innovativa di un Paese. L’indice del Wef infatti ne analizza la capacità di trasformare le tecnologie in vantaggi per la vita quotidiana delle persone e per l’economia. Tanto più si è in cima alla classifica- dominata anche quest’anno da Svezia e Singapore- tanto più significa che il progresso è penetrato a fondo nelle strutture economiche e nella società di quel Paese, migliorandolo.

Il Wef, per arrivare a questo giudizio, considera numerosi indicatori oggettivi (rilevati da organizzazioni indipendenti come le Nazioni Unite) e li correla: si va dalla diffusione di internet e cellulari, alla qualità dell’istruzione fino alle politiche statali a favore dell’innovazione e dello sviluppo tecnologico. Ed è proprio per questo aspetto che l’Italia incassa una strigliata dal World Economic Forum. Nel capitolo in cui analizza l’Europa, comincia con le lodi alla Francia, Germania, ma poi nota
“all’estremo opposto, Paesi come la Grecia e l’Italia”. Il Wef accomuna Grecia e Italia anche nei consigli: dovrebbero migliorare fattori propedeutici al progresso (minori tasse e burocrazia, più libertà di stampa, tra le altre cose), aumentare l’adozione delle nuove tecnologie e, soprattutto, mettere informatica e telecomunicazioni al centro delle politiche nazionali. È qui la critica severa al governo. Quello italiano è giudicato al 113esimo posto, nel mondo, per apertura all’innovazione e al 89esimo per uso delle tecnologie. Fa peggio della Grecia per entrambi gli aspetti. “Lo Stato italiano investe molto meno degli altri europei per diffondere la cultura tecnologica, tra l’altro. Ma è stato in grado di spendere oltre un miliardo di euro nel digitale terrestre”, nota Maurizio Dècina, ordinario di reti e comunicazioni al Politecnico di Milano.

Altri Paesi invece galoppano. Molti di quelli emergenti sono giudicati più pronti e aperti all’innovazione. Così il Wef mette il Costa Rica tra i casi eccellenti dell’ultimo anno, per aver investito in alfabetizzazione informatica e ridotto gli ostacoli al commercio di beni tecnologici, tra le altre cose. Così quest’anno ha superato l’Italia, nella classifica, per la prima volta.

Da noi qualcosa bolle in pentola, ma siamo ancora alla fase delle idee, per sbloccare la situazione. Un gruppo di docenti ed esperti, dietro il portale Agendadigitale. org, sta raccogliendo proposte di legge di parlamentari bipartisan. Il ministro all’Innovazione e alla Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, si è detto disponibile a esaminarle nelle prossime settimane. Obiettivo, creare la prima Agenda Digitale italiana, cioè un piano programmatico di governo per lo sviluppo tecnologico.

Fonte: http://www.repubblica.it

Il marchio della Regione Puglia sul concerto del Primo maggio

Puglia, sempre più marchio da esportazione. Nuovo colpaccio per l’ente Regione guidato da Nichi Vendola: sarà main sponsor per lo storico Concertone del Primo Maggio a Roma, che quest’anno sfida le celebrazioni per la contemporanea beatificazione di papa Giovanni Paolo II. L’accordo si deve all’assessore al Mediterraneo Silvia Godelli, per la quale l’occasione sarà perfetta per lanciare il progetto Puglia events: sarà il portale ufficiale per tutti gli eventi che si svolgono nella nostra regione durante l’anno, guida preziosa per programmare le vacanze in base a festival, concerti e sagre e soprattutto per non limitare il soggiorno al solo periodo estivo. Nei giorni scorsi era già partita la chiamata a raccolta per operatori culturali pubblici e privati che volessero inserire le proprie iniziative sul portale, che lavorerà in parallelo con viaggiareinpuglia. it, altro strumento turistico in mano alla Regione.

La partecipazione all’evento romano organizzato da Cgil, Cisl e Uil diventa dunque l’ennesima opportunità per la Puglia di uscire dai suoi confini, di farsi conoscere, presentarsi nella sua veste migliore e risultare irresistibile. Il fascino, d’altronde, l’ha subito per ultimo Italia Wave, il maggior festival rock italiano che, dopo 25 anni in Toscana, ha deciso di trasferirsi proprio a Lecce, dove a metà luglio si esibiranno artisti del calibro di Lou Reed, Paolo Nutini e Kaiser Chiefs. Che dire poi di un gruppo collaudato come i Negramaro, chiamati a partecipare all’Heineken jammin’ festival (il 10 giugno a Venezia), dopo averci messo piede anni fa al fianco dei Depeche Mode?

A giorni saranno resi noti i dettagli e l’ammontare dell’investimento, ma ancora una volta echeggia quello che è da sempre un cavallo di battaglia di Vendola: puntare tanto sulla cultura, a differenza di quanto accade nel resto d’Italia. In un periodo di tagli, la Puglia va quindi in controtendenza. Sfidando anche quanti sono pronti a lamentare un disinteresse delle istituzioni per i veri problemi dei cittadini, e rispondendo ancora una volta che il turismo è volano dell’economia. Lo dimostrano del resto le centinaia di migliaia di persone che si radunano a Melpignano per la Notte della Taranta, a fine agosto  –  evento tra l’altro felicemente esportato addirittura in Cina  –  così come durante l’inverno è il turno della Fòcara di Novoli.

Sarà un bel cartellone pubblicitario, quello allestito dalla Puglia per il Primo Maggio in piazza San Giovanni. L’edizione 2011, legata ai 150 anni dell’Unità, porterà per la prima volta sul palco Ennio Morricone con l’inedito “Elegia per l’Italia”, oltre a Gino Paoli con “Và pensiero”. E giusto per rimanere in tema, tra gli artisti c’è anche Caparezza, un nome da tutto esaurito in ogni data del suo “Eretico tour”. Chi meglio di lui, profetico, qualche anno fa, con l’irresistibile “Vieni a ballare in Puglia”?

Fonte: http://bari.repubblica.it

L’ottimismo di Mister Google “La nuvola ci renderà felici”

Il neo presidente del gigante web che ha guidato per 10 anni: “In due o tre anni sarà impossibile dimenticare, perdersi, annoiarsi, restare. Una rivoluzione per l’intero pianeta e non solo per una piccola élite. Grazie a smartphone, tablet e, soprattutto, al “cloud computing. Un futuro straordinario e spaventoso”

OCCHI chiari, completo blu, camicia immacolata. Il futuro è un signore di 56 anni, l’aspetto ordinario dell’uomo comune, che parla con tono neutro del nuovo umanesimo dei cellulari e dei super computer. “Un’era straordinaria e spaventosa”, come lui stesso la definisce, “destinata a cambiare la nostra vita”. Nella piccola stanza fatta di tramezzi dall’aria troppo vissuta, all’interno della Fira de Barcelona, Eric Schmidt  assume l’aria di un profeta. E’ stato l’amministratore delegato di Google per dieci anni. Posto che ora ha lasciato a Larry Page, il cofondatore della multinazionale di Mountain View, tornato a dirigerla da poche settimane. Ma Schmidt era e resta, almeno per adesso, il volto pubblico della compagnia con la carica di presidente (Executive Chairman). E così, davanti a un gruppo ristretto di giornalisti, racconta di un avvenire luminoso che non ha precedenti, velato appena da qualche ombra. Lo fa con la sicurezza di chi ha scritto la storia e sta mettendo mano al nostro avvenire. Di chi ieri sapeva quel che sarebbe successo oggi e oggi, grazie alla potenza di Google, può decidere il domani di miliardi di persone.

L’umanesimo delle macchine. “In due o tre anni”, ci racconta tranquillo, “sarà impossibile dimenticare, perdersi, annoiarsi, restare soli. Vivremo in un mondo più felice, più trasparente, conosceremo persone nuove e avremo più tempo da dedicare a noi stessi. Sarà, per la prima
volta, una rivoluzione per l’intero pianeta e non solo per una piccola elite. Tutto grazie agli smartphone che avete già in tasca, ai tablet che si diffonderanno nei prossimi anni e ai super computer che formano quella nuvola digitale, il “cloud”, dove stiamo raccogliendo una grande quantità di informazioni”.

Non molti sarebbero disposti a prendere particolarmente sul serio queste parole se a pronunciarle non fosse Mr. Google. Eric Schmidt inanella rapido concetti eclatanti senza mai sottolinearli con un’emozione, quasi stesse illustrando le previsioni del tempo. Ha un patrimonio personale di sei miliardi di dollari (circa) e pochi giorni dopo il nostro incontro, si è seduto alla tavola di Barack Obama assieme agli altri di Silicon Valley. Quella manciata di nomi dal peso specifico non più misurabile che vanno da Steve Jobs di Apple a John Chambers di Cisco, passando per Larry Ellison di Oracle, Dick Costolo di Twitter, Carol Bartz di Yahoo!, ovviamente Mark Zuckerberg di Facebook. Grande assente, e qui le interpretazioni si son sprecate, Steve Ballmer di Microsoft.

La nostra nuova memoria eterna. Il nostro futuro spiegato da Schmidt è un sogno positivo che cancella in un sol colpo gli incubi di 1984 di George Orwell e di tutta la fantascienza che conta, romanzi di Philp Dick a di William Gibson in testa. E diventerà realtà perché il colosso che ha gestito così a lungo ogni giorno fornisce un miliardo di risposte attraverso il suo motore di ricerca e ora comincia a sapere non solo dove e chi sta ponendo le domande, ma anche quali rapporti ha questa persona e quali sono le sue abitudini. Le informazioni in pratica non arrivano più solo attraverso un pc anonimo che chiunque a casa come in ufficio può usare, ma via cellulare.

“L’unico apparecchio tecnologico personale, che portiamo sempre con noi e che ormai inizia a vivere in simbiosi con il Web”, sottolinea Schmidt. “I telefonini d’ultima generazione possono registrare ogni nostro spostamento grazie al gps che a breve, con la nuova rete di satelliti, ridurrà il margine di errore dagli attuali sei metri a meno di 90 centimetri. Possono conservare le nostre foto e i nostri video, mantenere traccia della rete di relazioni fuori e dentro i social network, degli appuntamenti, dei luoghi visitati e domani dei pagamenti effettuati. Ognuno di noi dimentica, la memoria di dispositivi del genere ha vita eterna. E non succederà nulla se li perderemo, online verrà mantenuta la copia di tutto. Basterà comprare un nuovo apparecchio ed istantaneamente avremo indietro le nostre applicazioni, l’agenda, i messaggi, perfino l’ebook che stavamo leggendo aperto all’ultima pagina consultata. Noi stiamo passando dalla sintassi alla semantica dei dati”.

Fotografia dell’umanità in alta definizione. E’ una escalation senza precedenti, basta mettere in fila qualche numero per rendersene conto: entro il 2012 saranno più le persone che navigano sul Web via smartphone di quelle che lo faranno attraverso un pc; ogni giorno ne vengono attivati 300 mila solo fra quelli dotati di sistema operativo Android, prodotto dalla stessa Google, mentre quest’anno anno sempre di iPhone e simili se ne venderanno 500 milioni circa contro i 250 dei computer; due miliardi di persone infine, che ad oggi non hanno mai visto Internet, entreranno nel mondo del Web in versione mobile affollando siti come Facebook e YouTube. E tutto questo darà ai giganti del Web una fotografia ad alta definizione delle nostre esistenze che nessuno nella storia ha mai posseduto. Un ologramma vivo che muta in tempo reale di un pezzo consistente dell’umanità. Aggiungete poi che, stando alla Gardner, azienda specializzata in ricerche di mercato nel mondo della tecnologia, entro la fine del 2012 la metà di tutti i cellulari avanzati useranno proprio il sistema operativo ideato a Mountain View.

La nuova Rete fatta su misura. “Stiamo immagazzinando sui nostri server una quantità di dati impressionante”, spiega Schmidt sotto lo sguardo sempre più attento dei giornalisti del New York Times, Frankfurter Allgemeine Zeitung, Daily Telegraph, Reuters, Finacial Times, Wall Street Joural e Repubblica. “In breve il nostro smartphone ci suggerirà non solo quale strada prendere per raggiungere un certo posto, ma comunicherà con i cellulari delle persone che conosciamo per sapere quale strada fanno loro e magari dove si fermano in genere. Con il vostro permesso – lo dirà almeno sei volte durante l’incontro, ndr. – vi daremo informazioni così dettagliate da lasciarvi a bocca aperta. Internet verrà confezionata su base individuale. Diventerà un universo digitale fatto su misura”. In parole povere indicazioni, messaggi, immagini, video, pioveranno sul display del cellulare mentre camminiamo per le strade di una città raccontandoci tutto di quel che ci circonda. “Non dovremo più digitare alcunché sullo schermo tattile, la ricerca saremo noi stessi, il nostro muoverci per il mondo”, ci spiega ancora il presidente di Google.

La pubblicità perfetta. Avendo occhi così penetranti su usi e costumi di miliardi di persone, diventerà semplice consigliarci quella maglietta che fa esattamente al nostro caso quando passeremo davanti a un certo negozio. Oppure suggerirci un piccolo museo dietro l’angolo che si sposa bene con i nostri interessi, o ancora un’osteria dove fanno il nostro piatto preferito e dove, proprio in quel momento, si è appena seduto un amico che non vediamo da tempo. Versione parecchio evoluta di quegli algoritmi usati da Amazon ad esempio, che controllano quel che abbiamo comprato in passato e lo mettono in relazione con quel che altri hanno acquistato. Solo su scala mondiale e con una pertinenza enormemente maggiore. “Più Google saprà di voi, sempre con il vostro permesso, si intende, più i suoi consigli e le sue indicazioni saranno puntuali”, insiste Schmidt. Del resto l’anima di tutto resta il commercio e Google vive sulla pubblicità. La bolla mediatica di Second Life ha dato un’idea chiara di quanto le aziende siano alla ricerca disperata di una forma di promozione diversa, considerando lo sciamare della capacità persuasiva degli spot televisivi e la sostanziale invisibilità dei banner sul Web. Ed ecco la risposta vera che negli uffici marketing di mezzo mondo stavano aspettando. Una risposta tanto accurata, precisa, scientifica, chirurgica da andar ben oltre i loro più sfrenati desideri.

L’incubo della privacy violata. “La nostra vita comincia ad essere tracciata, peccato che non ne abbiamo il minimo sentore”, ha commentato sulle pagine di Newsweek Jon Leibowitz, a capo della Federal Trade Commission, l’ente statunitense che vigila sui diritti dei consumatori. Di qui la proposta di obbligare Microsoft, Mozilla, Apple e Google ad inserire nei loro browser l’opzione “Do not track” per evitare che gli utenti vengano seguiti quando navigano sul Web attraverso i cosiddetti cookies, frammenti di codice che permettono di risalire ai siti visitati. Poi però lo stesso Leibowitz è costretto ad ammettere che consigli e pubblicità su misura sono di gran lunga più utili di quelli generici. Chissà se resterà della stessa idea quando apprenderà quel che vuol fare l’azienda di Schmidt con la sua rivoluzione, secondo quest’ultimo, così inevitabile.

Il futuro straordinario e spaventoso. “Straordinario perché si possono raggiungere miliardi di persone in un attimo”, continua l’ex Ceo di Google. “Spaventoso perché si basa sulle informazioni e le informazioni sono la cosa alla quale le persone e i governi tengono di più”. A tutti i presenti vengono in mente le accuse di Richard Clarke, consigliere speciale del presidente George W. Bush per la sicurezza informatica, che più volte ha puntato il dito contro gli hacker cinesi colpevoli di aver compiuto irruzioni nei database di oltre tremila multinazionali statunitensi, Google inclusa. Ma lui, Eric Schmidt, non si scompone. Archivia il rischio in maniera molto americana: “Abbiamo una policy aziendale rigida, cose del genere non potrebbero accadere”. Quindi, torna a sfoggiare un ottimismo d’altri tempi. “Grazie ai computer costruiremo un mondo migliore. Il loro apporto aiuterà a risolvere i grandi problemi che stiamo affrontando come il surriscaldamento del pianeta, il terrorismo, l’assenza di trasparenza dei governi e della finanza. Guardate quel che è accaduto in Medio Oriente…”. Fa una pausa, ci osserva brevemente, sorride. “A questo punto devo però confessarvi una cosa: non sono mai stato bravo con le previsioni. Ero convinto ad esempio che le vendite di smartphone avrebbero superato quelle dei personal computer il prossimo anno. Invece, pensate, è successo poche settimane fa”.

Fonte: http://www.repubblica.it

Anziani, con Facebook vivono meglio

Secondo l’associazione italiana di psicogeriatria (Aip), Facebook avrebbe un effetto benefico sulla memoria degli over 65. Oltre un milione e mezzo di anziani possiede un profilo sul social network e un altro milione di internauti dai 65 anni in su utilizza Skype e YouTube.

Uno studio condotto nelle province di Brescia e Cremona ha rivelato che collegarsi quotidianamente a Facebook per un’ora avrebbe un effetto positivo e benefico sulla memoria, conservandola attiva, e migliorerebbe l’umore.

Marco Trabucchi, presidente dell’Aip, ha detto: “Negli ultimi anni il numero di anziani che si è avvicinato al web è cresciuto dell’80%. Gli anziani sono la fascia di utenti cresciuta di più. Basti pensare che gli over 65 iscritti a Facebook o MySpace sono circa l’8% del totale. Internet e le nuove tecnologie tengono viva la curiosità culturale degli anziani, migliorano le prestazioni cognitive e mantengono giovane il cervello, stimolando l’attenzione, la memoria, la percezione”.

L’utilizzo del web, inoltre, ridurrebbe i sintomi di ansia, stress e depressione e aiuterebbe gli anziani con problemi di disabilità a creare reti di supporto e sociali

Fonte: http://www.televideo.rai.it

Regali sul web, un trend in crescita

Da una ricerca su oltre 50 dei principali operatori e-commerce condotta da NETCOMM – Consorzio del commercio elettronico italiano e dalla School of Management del Politecnico di Milano, emerge che tra novembre e dicembre l’e-commerce fatturerà 877 milioni di Euro, con una crescita del 44% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Una stagionalità che fa crescere le vendite rispetto alla media annuale di oltre il 20%. Gli italiani sembrano quindi scegliere il web ancora di più a Natale che nel resto dell’anno.

Alcuni comparti mostrano una vitalità nel periodo natalizio superiore alla media del settore, come ad esempio i viaggi che a Natale fatturano circa il 40% dell’intero anno, l’elettronica di consumo e l’informatica che raggiungono in questi due mesi circa il 25% delle vendite complessive. Bene anche libri, musica e audiovisivi che vendono in questo breve arco temporale oltre il 20% delle vendite annuali.

Il fatturato del 2006 raggiungerà, come previsto nell’osservatorio di giugno, i 4 miliardi di Euro. Nel 2007 si prevede un tasso di crescita intorno al 40% e un fatturato di circa 5,7 miliardi di euro. Crescerà ad un ritmo leggermente superiore (45%) il numero di ordini che toccherà la soglia dei 23 milioni, se consideriamo solo gli ordini dei comparti turismo, assicurazione, informatica ed elettronica, abbigliamento, libri e grocery (saranno oltre 70 milioni in totale). Diminuirà ancora lo scontrino medio che, sempre con riferimento a questi settori, si attesterà intorno ai 170 Euro (circa 80 euro come media complessiva), segno di una confidenza sempre maggiore con questo tipo di acquisti.
“Il Natale per i siti del commercio elettronico si conferma il periodo più caldo dell’anno. – ha dichiarato Roberto Liscia, Presidente di NETCOMM – Consorzio del commercio elettronico italiano – La crescita del 44% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno è un importante segnale a favore del web proveniente dagli Italiani che dimostrano di apprezzare questo canale, in un momento solitamente molto critico e frenetico come quello della corsa ai regali natalizi. È un dato molto importante che lascia prevedere una sempre maggiore fiducia verso questa modalità di acquisto. Affidabilità dei siti, sicurezza e tempestività sono certamente le caratteristiche più richieste, soprattutto in un periodo a domanda così concentrata e a traffico logistico tanto intenso.”

“Questa ricerca di fine anno è stata anche l’occasione per aggiornare i dati aggregati 2006 e le proiezioni 2007”. – ha aggiunto Alessandro Perego, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio B2c – School of Management del Politecnico di Milano – “Il fatturato per il sesto anno consecutivo cresce di oltre il 40% e si avvicinerà nel 2007 alla soglia dei 6 miliardi di Euro, con una percentuale di circa l’ 1,3% delle vendite al dettaglio. Siamo ancora lontani dalla media americana del 10% ed europea del 6%, ma i ritmi di crescita dimostrano che il commercio elettronico sta diventando sempre più un canale di acquisto integrativo e abituale anche nel nostro Paese. Per avvicinarci ai numeri del mondo anglosassone devono aumentare gli acquisti dei prodotti fisici – informatica, abbigliamento, prodotti per la casa, libri – ancora largamente inferiori alle potenzialità.”

Fonte: http://www.tomshw.it

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