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Categoria: Web e dintorni Pagina 17 di 28

I nuovi business che rivoluzionano la rete

Prosegue il viaggio de «La Stampa» nel nuovo mondo digitale per scoprire come la tecnologia sta trasformando le nostre vite e quali sono e saranno
le sfide e le opportunità. Ecco alcuni esempi scelti tra le imprese più innovative e di successo

DIGITAL FASHION: cresce del 33% l’acquisto online della moda

Continua a crescere il numero di acquirenti online sul suolo italico. Gli eShopper che hanno comprato sulla rete negli ultimi tre mesi sono, stando alle rilevazioni di ottobre 2012, il 43,4% dell’universo dei navigatori internet, pari a 12,3 milioni di individui (erano 9,2 milioni un anno fa). Gli acquirenti online attivi alla rilevazione di ottobre dichiarano una frequenza media di acquisto pari a 3,5 transazioni per trimestre, poco più di una al mese, secondo l’ultima ricerca condotta da Netcomm, il Consorzio del Commercio Elettronico Italiano con Human Highway.

YouTube da record, 48 ore di video caricate ogni minuto

Dopo 6 anni di attività YouTube taglia il traguardo di oltre 48 ore di video caricate ogni minuto: un record risultato di una sfida che il sito aveva lanciato a novembre. Ogni minuto su YouTube vale dunque due giorni di video: un aumento del 37% rispetto agli ultimi 6 mesi e del 100% rispetto allo scorso anno.

A determinare la crescita fattori come un processo di caricamento più rapido, una maggiore durata dei video, il live streaming per i partner come, fra i più recenti, le nozze dei Reali d’Inghilterra e la Beatificazione di Giovanni Paolo II.

Inoltre, lo scorso weekend, la community ha contribuito a far superare i 3 miliardi di visualizzazioni al giorno, un incremento del 50% rispetto all’anno precedente. In prospettiva, questo dato equivale a quasi la metà della popolazione mondiale che ogni giorno guarda un video su YouTube.

Negli ultimi anni sono tante le cose fatte: sempre più iniziative globali come la YouTube Symphony Orchestra (un successo anche nella seconda edizione) o Life in a Day, sempre più partnership con produttori di contenuti come quella con La7, sempre più interviste in live stream con i grandi della terra come quella del Presidente Obama o del Presidente Zapatero.

Prossimo obiettivo per il sito le 72 ore di video al minuto o i 4 miliardi di visualizzazioni al giorno.

Fonte: http://www.lastampa.it

Il tag alla conquista del mondo intanto Facebook lo brevetta

“NON MI taggare che sono venuto male”, “Se mi tagghi non vale” e ancora “Ti vorrei taggare”, per indicare un certo gradimento dell’altro, o “Mi ha taggato la polizia”, ovvero ho ricevuto una multa. Voce del verbo – non ancora riconosciuto dal dizionario italiano – taggare che, assolutamente in voga nel linguaggio di giovani e meno giovani iscritti a Facebook, ora diventa pure un brevetto riconosciuto dall’US Patent and Trademark Office 1. Se è vero che ai tempi del social network lasciarsi è pure un po’ staggarsi  –  a molti è toccato almeno una volta togliere il tag dalla foto con l’ex fidanzata o con l’amica non più troppo cara – è vero anche che il riconoscimento dell’Uspto ufficializza un sistema diventato più di una moda. Con circa 100 milioni di immagini caricate  –  e taggate – ogni giorno su Facebook è questo uno degli ingredienti del successo del maggiore social network del web oltre che secondo sito più visitato subito dopo Google.

Tagging, così come viene descritto nella scheda del brevetto numero 7,945,653 registrato il 17 maggio 2011, è un sistema per contrassegnare contenuti digitali. Il metodo, che prevede la selezione di un media digitale e di una regione del media, può includere l’associazione di una persona o di un’entità all’interno della regione selezionata e l’invio di una notifica alla persona o all’entità citata nel tag. Più difficile da spiegare che da fare per la maggior parte degli utenti di Facebook che da ora in poi utilizzeranno un sistema inventato da Marck Zuckerberg, Aaroon Sitting e Scott Marlette ogni volta che, cliccando su un’immagine, su un video, su un file musicale o su un testo, assoceranno a quel contenuto un nome.

Ci sono voluti circa cinque anni, dal momento del deposito della richiesta di brevetto per il tagging, per far ottenere a mister Facebook, al product architect Sitting e all’ex ingegnere Marlette la paternità del sistema che prevede come ulteriore funzione associata alla notifica anche l’invio di contenuti pubblicitari. È inoltre di pochi giorni fa l’introduzione del tag anche per marchi, prodotti e personaggi famosi, così a chi vorrà identificare quella popolare bevanda immortalata nella foto della festa basterà collegare l’immagine alla fan page della bibita con il tagging.

Oltre all’aspetto economico dell’ultima vittoria di Zuckerberg e compagnia  –  solo alcune settimane fa sempre a Facebook veniva riconosciuta la paternità del sistema di regali virtuali  –  il brevetto garantisce un discreto controllo sulle altre piattaforme sociali che da ora in poi dovranno guardarsi bene dall’introdurre sistemi che possono anche solo ricordare il tagging. Che d’ora innanzi è made in Facebook.

Fonte: http://www.repubblica.it

Tutti i vizi e i segreti che internet sa di noi

A tradimento Expedia mi chiede se voglio andare in vacanza con l’ex fidanzata. Non lo dice proprio così, ma mi suggerisce il suo nome per il secondo biglietto d’aereo. Se lo ricorda da un vecchio acquisto, l’impertinente sito di viaggi. Lo stesso fa Amazon per la consegna dei libri. Se li hai fatti spedire a un indirizzo che non frequenti più, lui insiste. Persino il sito delle contravvenzioni del comune di Roma prova a inchiodarti al passato. Vado a controllare una multa e, accanto al verbale, ora hanno messo la foto dell’infrazione. In bianco e nero, sgranata, ma ineluttabile: sono proprio io in sella. Con la compagna di allora. Dio perdona, Internet no. Soprattutto non dimentica niente. Ci conosce meglio di una madre, di un amico, di uno psicanalista. Ed è in grado di mettere insieme così tante tessere di quel mosaico caotico che è la vita da ricostruirlo a un livello di dettaglio impensabile nell’èra Pre-Web. Così ho chiesto alla rete di scrivere la mia biografia, non per il suo trascurabile interesse, ma per quello enorme che a redigerla sia un algoritmo. Utilizzando fonti aperte, informazioni a disposizione di tutti. Avessi interpellato i Servizi segreti avrei ottenuto un ritratto meno vivido. Provare per credere.

Se fai il giornalista, in teoria, sei più esposto di un impiegato del catasto.

Ma non è detto, perché l’impiegato potrebbe avere una pirotecnica doppia vita telematica: condividere tutto su Facebook, commentare blog altrui, affidare a Twitter in tempo reale la propria opinione sull’universo mondo. Insomma, cose che io non faccio. Perché alla fine i pixel con cui la rete comporrà il nostro ritratto digitale, ad alta o a bassissima risoluzione, siamo noi a fornirglieli. Talvolta in maniera attiva, riempendo questionari, firmando petizioni, e così via. Più spesso in modo passivo, semplicemente navigando, comprando o essendo taggati in foto altrui. Per cominciare, dunque, c’è Google. Il grado zero è l’egosurfing, ovvero controllare ciò che in rete si dice di noi digitando «nome cognome». Nel mio caso escono 102 mila risultati, ma le quotazioni cambiano con i giorni. Ai primi posti una voce di Wikipedia in inglese che fino a qualche tempo fa sosteneva erroneamente che fossi il capo di Repubblica.it (approfitto per scusarmi col titolare). Verso il fondo spunta invece un messaggio che spedii il 27 maggio 1996 a un gruppo di discussione sulla pubblicità online. Per quel che ne sapevo allora era come attaccare un annuncio in una bacheca dell’università. Quel che ho imparato poi è che nessuno l’avrebbe mai rimosso e anzi sarebbe stato imbalsamato a futura memoria. Avessi chiesto istruzioni per confezionare una bomba sarebbe stato lo stesso.

Se poi, come me e altri 170 milioni di persone nel mondo, usate la posta di Gmail, le cose si complicano. Nel senso che tutto quello che scrivete potrà essere usato, pubblicitariamente parlando, contro di voi perché il sistema analizza i testi per accoppiarci pubblicità pertinenti. Dunque se dite a un amico che sarebbe bello trascorrere un finesettimana a Palermo aspettatevi, per dire, annunci su una suite scontata all’hotel Delle Palme. Per vedere come vi hanno etichettato c’è Google Ads Preferences. Di me il software ha capito che sono un maschio e tra gli interessi desunti dal mio comportamento online ci sono cinema, spartiti musicali, giornalismo. E in tv mi piacerebbero «crime stories e legal show» (nego l’addebito). Ma Google è ormai un mondo. Mette a disposizione un programma per scrivere, un calendario, un sistema di notifiche personalizzate e tanto altro. Gratis, o meglio, pagando in moneta di privacy. Lui ti offre un servizio, tu gli affidi la tua vita digitale. Ciò che scrivi, dove vai e quando, quello che ti interessa sapere. Così, seppure in forma anonima, il cyber-leviatano riutilizzerà quella messe di dati per recapitarti l’inserzione giusta. Sono andato a verificare nel Dashboard, la «scatola nera» di tutti i miei rapporti con il motore di ricerca. Ed è come guardarsi l’anima allo specchio. Dal momento che ho attivato anche la Cronologia, ovvero il registro storico di ogni ricerca eseguita, sanno esattamente cosa ho visto in questi anni. Il resoconto inizia alle 18.16 del 22 maggio 2007 e le parole chiave, credeteci o no, erano «nietzsche memoria troppo buona» (magari mi sono fatto suggestionare e volevo sancire con una citazione del filosofo l’aver attivato quella specie di panopticon volontario).

Ogni singola query è stata messa a verbale. Ci sono anche tutti gli indirizzi che ho cercato su Mappe. I video che ho guardato, dalla clip di The Ballad of John and Yoko all’ultimo disco dei Virginiana Miller. Per non dire di quelli che ho caricato su YouTube. Così come le foto che, tanto tempo fa, ho condiviso sugli album digitali Picasa. E i titoli che ho scaricato su Libri. Ce n’è già abbastanza per ricostruire la mia esistenza, avendo del gran tempo da perdere, minuto per minuto.

Per accedere al sancta sanctorum però bisogna possedere la parola chiave. Serve un hacker bravo o, banalmente, averla lasciata memorizzata nel pc. Tuttavia, anche limitandosi alle informazioni aperte i risultati sono stupefacenti. Se non avete familiarità con la sintassi dei motori di ricerca ci sono compagnie specializzate in web listening. Di solito lo fanno per le aziende, per capire che «reputazione» ha un marchio o un certo prodotto. Li ho sfidati a sguinzagliare i loro software specializzati perché portassero a casa i dati più succosi sul mio conto. Dopo meno di un giorno l’emiliana TheDotCompany mi ha recapitato un rapportino che sembra vergato da un funzionario della Digos. Contiene: luogo e data di nascita, numeri di telefono di lavoro e di casa, qualifica professionale esatta, il nome di mio padre e l’annotazione che «I genitori e il nipote vivono a Viareggio». Un’impeccabile biografia lavorativa e poi «Il sistema di correlazione di keyword e contenuti suggerisce orientamento politico Pd/Rifondazione Comunista e forti legami con il mondo sindacale», credo desunti dal fatto che ho scritto un libro sugli immigrati e l’ho presentato in varie feste dell’Unità. In parallelo anche Expert System di Modena, specialista nella tecnologia semantiche per la comprensione e l’analisi delle informazioni, era sulle mie tracce. In una decina di slide riassume le organizzazioni, le persone (vince il mio amico Raffaele Oriani, con 319 ricorrenze), le località, gli argomenti con cui ho più a che fare (Internet 206, immigrazione 150, editoria 137, etc.) e un’enoteca che frequento. I segugi milanesi della FreedataLabs ricavano addirittura profili psicologici dalle parole che uso. Dicono che solo il 6% appartiene a categorie emozionali e mi dipingono come uno molto «teso all’obiettivo», «curioso» ma anche «introverso», con venature di «tristezza». Così parlò lo strizzacervelli automatico.

Joel Stein, un collega di Time che ha fatto lo stesso esperimento, è stato più bravo nel rinvenire tracce economiche di sé. La Alliance Data, società di marketing digitale, sa che è un ebreo di 39 anni, con laurea e stipendio da oltre 125 mila dollari. Che ne spende in media 25 per ogni acquisto online ma il 10 ottobre 2010 ne ha sborsati 180 per biancheria intima. «Sono dati che in Italia sarebbe impossibile avere senza l’ordine di un magistrato» mi tranquillizza Andrea Santagata, numero due di Banzai, tra le più grandi web company nazionali, «perché abbiamo una legge sulla privacy molto più stringente. In ogni caso alla pubblicità non interessa sapere come ti chiami, ma conoscere il tuo profilo per mirare i messaggi». Tutto vero, e da tenere a mente per non finire arruolati nel già affollato partito delle teorie della cospirazione. Ma quanto detto sin qui lo è altrettanto. Anzi, non c’è stato neppure tempo di parlare di Last. fm che sa che musica ascolto (se ti piacciono i Wilco ti piaceranno anche i Golden Smog e The Autumn Defense). O di Ibs che, sapendo quali libri acquisto me ne consiglia altri, per proprietà transitiva: se David Foster Wallace, allora George Saunders. O di infinite altre destinazioni online che, per il solo fatto di aver interagito con loro, hanno creato dei dossier da cui inferire la mia personalità. È una tragedia? Neanche per sogno. Internet è l’invenzione più strepitosa e benemerita dell’ultimo secolo. Basta essere consapevoli e comportarsi di conseguenza. Per quanto riguarda infine la sconveniente insistenza di Expedia ho estirpato il cookie, il pezzetto di codice che ricordava al sito i miei viaggi precedenti. E adesso il computer non si impiccia più in cose che non lo riguardano.

Fonte: http://www.repubblica.it/

Skype fa gola ai giganti web Google e Facebook trattano

TORNA l’incrocio tra grande finanza e il mondo dei social network. Nel giorno in cui il social network cinese Renren sbarca a Wall Street raccogliendo quasi 750 milioni di dollari dagli investitori, ripartono a sorpresa le trattative per la vendita di Skype. La notizia è rimbalzata dall’altra sponda dell’Atlantica e vale doppio: a contendersi il controllo della società famosa tra gli utenti del web perché concede la possibilità di telefonare anche gratuitamente sono addirittura i due colossi del mondo internet: Google e Facebook.

Fonti finanziarie vicine alla trattative, hanno confermato che le due società hanno avviato trattative parallele, una all’insaputa dell’altra, per rilevare il pacchetto di maggioranza di Skype (circa il 70% delle azioni) al momento in mano a un gruppo di investitori privati (tra cui un fondo pensione canadese) che l’aveva rilevato da eBay nel 2005 per 1,9 miliardi di dollari. In realtà, i proprietari di Skype stanno valutando cosa convenga di più tra la vendita al maggior offerente tra Google e Facebook e la quotazione della società in Borsa. È da tempo, infatti, che i consulenti del provider telefonico stanno lavorando per lo sbarco a Wall Street, con un valutazione che si aggira tra i 3 e i 4 miliardi di dollari.

Google e Facebook non hanno voluto commentare la notizia anche per non alimentare l’asta abilmente organizzata dai vertici di Skype. Ma è indubbio che quest’ultima non possa che passare di mano a breve: nonostante i suoi 124 milioni di contatti a mese, la redditività di Skype – proprio per la gratuità dei suoi servizi – è molto limitata e la pubblicità non è mai decollata. Per questo motivo, la prossima fase di crescita non può che passare attraverso un’alleanza di carattere industriale.

Del resto, il momento appare finanziariamente favorevole. Come ha dimostrato il successo della quotazione di Renren, che in cinese significa letteralmente “uomo uomo” e che si può quindi tradurre con “tutti quanti”. Il clone cinese di Facebook, è il primo social network a sbarcare a Wall Street, dove ha raccolto 743,4 milioni di dollari, pari a 67 volte il fatturato dello scorso anno. In pratica, il doppio della valutazione di Facebook da parte degli analisti, che è ferma a 25 volte le entrate 2010 (50 miliardi). Il che potrebbe invogliare i manager di Facebook ad accelerare i tempi della quotazione, ora prevista per la primavera del 2012. Del resto, se ha avuto successo Renren, che può vantare il maggior numero di pagine visitate in Cina e realizza in un solo paese circa un quarto degli utenti di Facebook nel mondo (117 milioni contro 500) perché non dovrebbe averlo anche la creatura di Mark Zuckerberg?

Fonte: http://www.repubblica.it

Sony, nuovo attacco hacker nel mirino 26 milioni di utenti

ROMA – Un nuovo attacco hacker verso Sony. Sono stati compromessi i dati di altri 24,6 milioni di clienti, costringendo Sony Online Entertainment a sospendere i propri servizi per chi gioca online, stavolta non con la PlayStation ma con il Pc. Per il network dell’azienda nipponica si tratta del secondo attacco hacker nelle ultime settimane 1, che porta i dati compromessi a oltre 100 milioni di conti.

Sony non ritiene che i dati sulle carte di credito siano stati violati in questo secondo attacco, ma gli hacker potrebbero aver rubato i dati delle carte di credito ai 12.700 conti non americani e 10.700 numeri di conto correnti bancari da un “datato database del 2007”.

Il primo attacco. Prima di quella di oggi, un’altra intrusione nel PlayStation Network, la rete a cui si collegano gli utenti di console Sony per giocare online e scaricare contenuti, aveva scatenato una bufera sull’azienda nipponica, a causa del possibile furto di milioni di dati sensibili degli utenti iscritti. Un attacco a cui Sony ha tentato di riparare tempestivamente, aggiungendo un bonus economico sulle utenze di di tutti gli iscritti al network con il programma Welcome back. Anche se al momento, il PSN è ancora offline, Sony dichiara che il servizio sarà ripristinato quanto prima e agli utenti sarà chiesto di cambiare la password, obbligatoriamente.
Il primo tentativo di hackeraggio ha interessato 77 milioni di
utenti, che con i 24,6 milioni dell’altro network che, precisa Sony, lavora in maniera separata. Al momento, scrive l’azienda in una nota, si contano circa 23.000 numeri di carte di credito di utenti di tutto il mondo che sono probabilmente già nelle mani degli hacker. Il tutto rafforzato da indiscrezioni sul web che vedrebbero questi dati già in vendita al mercato nero.

In una mail di servizio inviata ai propri clienti dopo l’attacco del 17 aprile, sony aveva spiegato di aver “tempestivamente preso misure per migliorare la sicurezza” di Psn e “rafforzare l’infrastruttra del network”. Aveva inoltre invitato gli utenti “ad essere particolarmente vigili nei confronti di truffe via email e posta cartacea che chiedano informazioni personali o dati sensibili”

Fonte: http://www.repubblica.it

Google Shopping parte anche in Italia

MILANO Arriva oggi anche per gli utenti italiani Google Shopping, un vero e proprio motore di ricerca integrato a quello più tradizionale, che raccoglie ed elenca i prodotti dei vari store online dei diversi commercianti.

Chi volesse fare un acquisto, per esempio una macchina fotografica, potrà trovare in un’unica pagina tutte le offerte di diversi venditori, comprensive di prezzo, caratteristiche tecniche e recensioni degli utenti.

Il servizio, già attivo in America e nel Regno Unito, è totalmente gratuito sia per gli acquirenti sia per i negozianti; questi ultimi devono comunque avere un proprio sito internet contenente i prodotti, ed essere già attrezzati per gestire le transazioni della vendita: Google, in pratica, fa solo da tramite tra cliente e negozio, potenziando però la visibilità degli oggetti sul suo motore di ricerca.

Fonte: http://www.lastampa.it

Un futuro da social dipendenti?

La stavo aspettando da qualche tempo. E’ arrivata. Cosa?
La pubblicazione ufficiale dei risultati della ricerca internazionale “The world unplugged experiment”dell’International Center for Media & the Public Affairs (ICMPA) in partnership con la Salzburg Academy on Media & Global Change.
1000 “nativi digitali” (under 25); 10 nazioni del mondo coinvolte (America, Cina,Messico, Slovacchia, Uganda, Cile, Libano, Gran Bretagna, Argentina, Hong Kong) una sfida degna di una puntata di “Ai confini della realtà”: 24 ore disconnessi da ogni da mezzo di comunicazione.

Dopo queste 24 ore senza telefonino e Internet ai partecipanti è stato chiesto di esprimere il loro stato d’animo e le considerazioni in merito
I nativi digitali di tutto il mondo hanno dichiarato di aver trascorso le 24 ore in preda ad ansia, depressione, isolamento, desolazione, irritazione, paranoia, angoscia e in crisi di identità.

Entrando nello specifico ecco i risultati più sorprendenti e comuni in tutti i paesi:
– Tutti i partecipanti sono diventati consciamente consapevoli di “dipendere” dai media e di avere avuto conseguenze rilevanti, per lo più negativamente, sul proprio stato d’animo durante le 24 ore dell’esperimento.
– Gli studenti hanno definito il cellulare un’estensione del proprio corpo e della propria personalità senza il quale la vita è inimmaginabile ed hanno dichiarato che tecnologia, Internet e social media sono essenziali per costruire e gestire le amicizie e la vita sociale.
– I giovani sviluppano un pericoloso e fuorviante metodo di rappresentare il sè, diverso a seconda dei social network usati, con conseguenze anche significative sullo sviluppo della personalità.
– I sentimenti comuni a tutti i partecipanti all’esperimento dopo qualche ora dall’inizio della prova erano per lo più noia e vuoto esistenziale, molti hanno volontariamente interrotto l’esperimento.
– Il telefonino rappresenta una fonte insostituibile di sicurezza.
– La sovraesposizione mediatica massiccia provoca nei giovani il rigetto dalle news tradizionali: le notizie le trovano attraverso i loro telefoni cellulari o su Internet, attraverso messaggi di testo, Facebook, Twitter, chat, IM di Skype, QQ, email, ecc., non da fonti autorevoli, ma per lo più dalla rete di amici.

Questo esperimento ha, per l’ennesima volta, dimostrato, se ce ne fosse ancora stato bisogno, che la pervasività dei vecchi e nuovi media ha un impatto decisivo sulla percezione del sè, le relazioni sociali, la relazione con la realtà quotidiana, la coscienza critica e lo sviluppo della personalità degli individui ed è vitale insegnare, sopratutto ai nativi digitali, ad avere un corretto rapporto con i media e con il ruolo che essi hanno nella loro vita.

E’ altresì imprescindibile focalizzare l’azione formativa per far comprendere ai nativi digitali come distinguere tra realtà e finzione, quali sono le fonti attendibili e non attendibili e come navigare consapevolmente senza diventare tossicamente travolti e distratti.

A questo punto il riconoscimento politico e istituzionale della questione della REPONSABILITA’ SOCIALE DELLE IMPRESE PERSUASIVE è una questione cruciale; quanto tempo ancora servirà per prendere seriamente in considerazione il problema, perché di questo si tratta, del rapporto tra nativi digitali e la loro evoluzione nell’esperienza umana?

E’ davvero urgente, molto urgente, che famiglie, istituzioni, consumatori, centrali educative e comunità scientifica prendano velocemente coscienza dell’impatto di questo problema decisamente sottoconsiderato, prima che sia tardi per porvi rimedio e che vengano elaborate strategie ottimali per educare responsabilmente le giovani generazioni a convivere convenientemente con le tecnologie persuasive.

Fonte: http://www.corriereinformazione.it

Libertà su Internet: l’Estonia è il paradiso, Cina e Iran i cattivi

L’Estonia è la più libera e l’Iran quella meno, mentre la repressione più sofisticata avviene in Cina e nei prossimi 12 mesi la situazione peggiorerà in Russia, Venezuela, Giordania e Zimbabwe: sono le conclusioni contenute nel rapporto «Freedom on the Net 2011», nel quale la Freedom House di Washington denuncia le violazioni dei diritti universali sul web.

Lo studio divide il pianeta in nazioni libere, non libere e parzialmente libere, prendendo ad esempio del primo gruppo otto Paesi – Estonia, Stati Uniti, Germania, Australia, Gran Bretagna, Italia, Sud Africa e Brasile -, fra i quali quello di Tallinn emerge come il maggiore garante di libertà di accesso, diffusione di contenuti e rispetto dei diritti degli utenti. Gli Stati Uniti sono in seconda posizione, perché sebbene l’accesso al web rimanga in gran parte «più libero e giusto rispetto al resto del mondo», soprattutto grazie ad una serie di sentenze a difesa dei diritti degli utenti, hanno un tallone d’Achille nell’estensione della rete a banda larga e nella velocità di connessione, senza contare che i poteri di sorveglianza del governo «preoccupano». Fra i «Paesi liberi» esaminati, l’Italia è al terz’ultimo posto, perché «negli ultimi anni il governo ha introdotto diverse leggi che pongono serie minacce alla libertà online», come ad esempio «rendere i siti responsabili per i video messi online dagli utenti» e l’«obbligo di onerose registrazioni per le comunicazioni online». In particolare, «la tendenza a restringere la libertà su Internet è frutto della struttura della proprietà dei media in Italia, dove il primo ministro Silvio Berlusconi possiede, direttamente o meno, un grande conglomerato privato» che «lo può incentivare a restringere il libero flusso di informazioni online per ragioni politiche o per condizionare la competizione sugli spettatori dei video online». Il rapporto sottolinea anche che in Italia Internet raggiunge il 49 per cento della popolazione, ovvero un livello più alto della media del resto del mondo, ma considerevolmente più basso degli altri Paesi industrializzati. Ciò che invece distingue l’Italia è guidare la classifica Ocse sulla penetrazione dei cellulari.

Il gruppo dei Paesi non liberi include 11 nazioni, la cui classifica ascendente sulla base delle restrizioni è: Thailandia, Bahrein, Bielorussia, Etiopia, Arabia Saudita, Vietnam, Tunisia, Cina, Cuba, Birmania e Iran. L’ultimo posto va a Teheran, perché «sin dalle proteste che seguirono le dubbie elezioni presidenziali del 12 giugno 2009, le autorità hanno condotto una dura campagna contro la libertà su Internet, inclusa la decisione di rallentarne la velocità e di adoperare gli hackers per neutralizzare i siti dell’opposizione». E inoltre «un crescente numero di blogger viene minacciato, arrestato, torturato e messo in cella di isolamento» fino all’estremo di «uno di loro deceduto in prigione».

In fondo alla classifica anche i generali birmani e la Cuba di Raúl Castro, ma è alla Cina che il rapporto dedica l’analisi più approfondita, perché «Pechino ha messo in piedi il più sofisticato sistema di controllo di Internet». Si tratta di un complesso di misure «divenute più restrittive negli ultimi anni» che vedono Facebook e Twitter «bloccati in maniera permanente» portando allo sviluppo di «alternative locali ostacolate dalla censura». Nella regione dello Xinjiang, teatro di una rivolta etnica, l’interruzione di Internet è durata «un mese intero» ed almeno 70 persone sono state arrestate per aver commesso «crimini online» diffondendo informazioni sulla repressione.

Le nazioni «parzialmente libere» prese in esame dal rapporto sono invece 18, e fra loro spicca la Russia di Dmitry Medvedev, per la possibilità di un «deterioramento grave nei prossimi 12 mesi» a seguito dell’entrata in vigore di leggi restrittive della libertà online per molti versi simili a quelle del Venezuela di Hugo Chavez. Fra i Paesi che rischiano di diventare «non liberi» c’è il Pakistan, dove lo scorso anno il governo ha creato un comitato ad hoc che può decidere di bloccare i siti sulla base di «offese molto vaghe allo Stato o alla religione».

Riguardo alla repressione delle libertà online, Freedom House individua dei comportamenti omogenei da parte di più regimi che aumentano la censura in risposta alla maggiore diffusione dei social network, spingendosi ad arrestare i blogger, lanciando cyberattacchi contro i siti dissidenti e sfruttando la struttura centralizzata della rete per limitarne gli accessi.

Fonte: http://www.lastampa.it

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