Comma3 - Strumenti e soluzioni per comunicare con internet

Categoria: Web e dintorni Pagina 22 di 28

In Europa il browser più usato è Firefox

Internet Explorer sarà ancora il browser più diffuso in circolazione, ma le ultime statistiche relative all’uso dei software per navigare portano comunque buone nuove anche per Firefox e Chrome. Da StatCounter ci arrivano infatti le statistiche d’utilizzo relative all’intero arco del 2010 in Europa, tutt’altro che scontate come forse qualcuno potrebbe credere.

Nel dettaglio, si dimostra come sia al momento Firefox il browser più usato nel vecchio continente, segnando il sorpasso ai danni di Internet Explorer proprio in dirittura d’arrivo negli ultimi mesi dell’anno. I due browser sono così praticamente appaiati: 38,11% per Firefox e 37,52% per IE, ma tanto basta al browser Mozilla per potersi vantare del primato europeo.

Tuttavia, occorre notare come nello stesso periodo sia cresciuto l’uso di Chrome (14,08% dal 5,06% di partenza), al punto che Firefox sembra dover ringraziare proprio il browser Google per il proprio primato: la tabella qui sopra infatti ci mostra come l’uso di Firefox sia rimasto per tutto l’anno pressoché immutato, a differenza del boom di Chrome avvenuto come dicevamo poco fa proprio in concomitanza col sorpasso di Firefox ai danni di IE.

Fonte: www.nicsrl.it

FACEBOOK COME UNA DROGA, ARRIVA SINDROME D’ASTINENZA

(AGI) – Londra, 3 gen. – Sono bastate 24 ore di lontananza da e-mail, sms, Facebook e Twitter per stare male e provare ansia e irrequietezza alla stregua del fumatore che tenta di smettere. A rivelarlo e’ stato un gruppo di ricercatori della Bournemouth University che partecipa all’esperimento internazionale ‘Unplugged’, come riporta il quotidiano britannico ‘Daily Telegraph’. Ai volontari di 12 universita’ di tutto il mondo, tra cui 125 studenti dell’ateneo britannico, e’ stato chiesto di trascorrere un giorno intero lontano da computer, cellulari, iPod, televisione, radio e giornali. I ragazzi avevano il permesso di utilizzare solo i telefoni di rete fissa e potevano leggere libri. Nel corso dell’esperimento i volontari hanno tenuto diari in cui raccontare la propria esperienza. Da quelle pagine e’ emerso che molti hanno provato sentimenti di forte irrequietezza, di ansia e isolamento. In pratica, i soggetti si sono trovati alle prese con la sindrome d’astinenza da informazioni. “La misura in cui stiamo usando una parte della moderna tecnologia e dei nuovi media ci sta cambiando”, ha spiegato Roman Gerodimos, lo scienziato che si e’ occupato della parte britannica dell’esperimento. I giovani che hanno riportato sintomi di dipendenza sono stati maggiormente male per via della mancanza di musica. “Molti di loro”, ha riferito Gerodimos, “hanno detto di aver trovato il silenzio inizialmente piuttosto scomodo e imbarazzante. Ma non appena vi si sono abituati hanno cominciato a notare cose cui mai avevano fatto caso prima: dal canto degli uccelli al ‘suono’ della vita quotidiana dei vicini”. Riflettendo su questa esperienza, ha continuato lo scienziato, “i volontari hanno ammesso di soffrire di sintomi dell’astinenza. Gli studenti hanno paragonato quest’esperienza a quella di una dieta e allo smettere di fumare, e la parola dipendenza e’ risultata ricorrente. La maggioranza di loro in un primo momento ha sofferto ma poi si e’ lasciata coinvolgere dalle nuove atmosfere e sensazioni, mentre una minoranza ha odiato tutto questo”. E ha concluso: “Diventare piu’ consapevoli di quanto e come usiamo le nuove tecnologie potrebbe aiutarci a controllare l’effetto che hanno su di noi. E forse dovremmo rinunciarvi almeno per un giorno all’anno”.

Fonte: www.agi.it

Facebook mette la freccia Nel 2010 più visitatori di Google

Facebook batte Google e si afferma come il sito più visitato negli Stati Uniti nel 2010. Intanto intorno al social network si sta per aprire un nuovo capitolo della battaglia legale che si protrae da anni tra i gemelli Winklevoss, che avrebbero avuto l’idea da cui poi nacque Facebook, e il suo fondatore Mark Zuckerberg.

Il social network, secondo uno studio di Experian Hitwise, ha scalzato il motore di ricerca al primo posto della classifica dei portali più visitati negli Usa nell’anno appena concluso: fra gennaio e novembre Facebook è stato visitato dall’8,93% dei navigatori contro il 7,19% di Google.com. Mountain View supera però Facebook se vengono inclusi nel conteggio tutti i siti che fanno capo a Google, fra i quali quali Youtube e Gmail. In questo caso infatti Google è stato visitato dal 9,85% dei navigatori. Il terzo posto va in ogni caso a Yahoo! con l’8,12% dei navigatori.
I problemi per Facebook arrivano invece sul fronte legale. Tyler e Cameron Winklevoss ci ripensano. E puntano a un annullamento dell’accordo raggiunto in precedenza con il sito web, dichiarandosi pronti ad aprire un nuovo capitolo della battaglia legale intorno al social network che si protrae da anni. I gemelli Winklevoss, che accusano Mark Zuckerberg di aver rubato l’idea originale per la creazione di Facebook e che hanno patteggiato un accordo che li ha portati a incassare 20 milioni di dollari in contanti e 45 milioni di dollari di azioni Facebook, ritengono di essere stati ingannati: l’intesa – riporta il New York Times – non rispecchia il valore reale del social network e la somma ricevuta è troppo ridotta.
Il mese prossimo i gemelli Winklevoss potrebbero chiedere alla corte d’appello federal di San Francisco l’annullamento del precedente accordo così da poter riprendere l’azione legale avviata nel 2004. E insistono: non è una questione di soldi ma di principio. Una differenza di valore c’è senza dubbio, secondo alcune stime infatti l’attuale valore dell’accordo sarebbe pari a 140 milioni di dollari. «Il principio è loro non si sono battuti correttamente. Il principio è che Mark ha rubato l’idea» spiega Tyler Winklevoss. A complicare ulteriormente la vicenda è il fatto che i gemelli Winklevoss sono in guerra anche con gli avvocati che li hanno portati ad accettare il patteggiamento. Un giudice di recente ha stabilito che i gemelli devono versare ai legali una commissione del 20%, ovvero 13 milioni di dollari. Il risultato è che i soldi ricevuti dall’accordo del 2008 sono attualmente bloccati in un conto corrente. «Mark è dove è perchè noi lo abbiamo incluso nel nostro progetto» aggiungono.
Una nuova battaglia legale presenta rischi sia per i gemelli Winklevoss sia per Facebook, la cui posta in gioco è elevata: se il giudice decidesse di annullare l’accordo, la società dovrebbe decidere se patteggiare un’intesa più ricca o se andare al processo. I gemelli Winklevoss potrebbe arricchirsi di più oppure perdere tutto.
La disputa è datata 2003, quando Zuckerberg, i due gemelli e Divya Narendra erano a Harvard e Zuckerberg si è offerto di aiutarli a creare il programma Harvard Connection. Zuckerberg – denunciano i gemelli – avrebbe ritardato il lavoro e si sarebbe mostrato evasivo nel rispondere alle pressioni. Nel febbraio 2004 Zuckerberg ha lanciato The Facebook, fra l’irritazione dei suoi compagni che hanno subito avviato una causa.

Fonte: www.lastampa.it

Wiki, ci sono i soldi: “Per i nostri dieci anni ci regaliamo la libertà”

Wikipedia ce l’ha fatta. A dieci anni esatti dalla nascita la più cliccata e consultata enciclopedia on line è riuscita a raggiungere quota sedici milioni di dollari dalle donazioni dei suoi utenti, l’obiettivo che il fondatore Jimmy Wales si era imposto per non dover cedere alle lusinghe della pubblicità e rimanere- così il numero uno del sito- «libero e al servizio dei cittadini».
Sono oltre cinquecentomila i lettori che hanno donato mediamente ventidue euro a testa e Wales in un messaggio li ha ringraziati uno ad uno, a nome di tutta la fondazione: «Il mondo del business è bellissimo e la pubblicità non è il diavolo. Solo- scrive Wales- sono concetti che non ci appartengono. Siamo come una biblioteca, o un parco pubblico. Un luogo in cui andare per confrontarsi, imparare, aprire la mente».
Con quattrocentomilioni di utenti al mese Wikipedia è il quinto sito più popolare del mondo: mentre i primi quattro sono stati creati e vengono mantenuti grazie a miliardi di dollari di investimenti, a enormi staff aziendali e a continue campagne di marketing, la creatura di Jimmy Wales continua a muoversi in perfetta autonomia.

Fonte: www.lastampa.it

Così Internet ha cambiato il mondo nel 2010

Da Google in Cina a Wikileaks, quest’anno la Rete ci ha riservato sorprese rivoluzionarie e si è rivelata capace di superare anche le censure

Il caso Google-Cina, l’affare Blackberry, i nuovi media che si affacciano all’orizzonte, i Paesi autoritari che annaspano vedendo svanire la loro capacità di fermare la valanga della Rete. Il 2010 è stato anche l’anno di Internet.

Per la prima volta nella storia, a difesa di Google minacciato in Cina, è scesa in campo l’amministrazione americana. Hacker cinesi avevano preso di mira le caselle di posta Gmail di alcuni dissidenti, un attacco che – si è poi scoperto leggendo i cablogrammi di Wikileaks – fu lanciato direttamente da Pechino. «In un mondo interconnesso, un attacco alla rete di una nazione è un attacco contro tutti noi», dichiarò il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, promettendo «serie conseguenze» per chi lancia attacchi informatici e «minaccia la libertà di espressione sul web».

Nel frattempo, a migliaia di chilometri di distanza, alcuni Paesi del Golfo, e non solo, tentavano di mettere sotto controllo la rete Blackberry. Anche in quel caso, a impensierire Arabia Saudita, Emirati Arabi, Libano, India e Indonesia era l’impossibilità di controllare i messaggi scambiati attraverso gli smartphone poichè transitano su server blindati in Canada. In alcuni casi, come in India, si è raggiunto un accordo secondo il quale le autorità giudiziarie, previa richiesta formale e in nome della sicurezza nazionale, possono accedere ai dati dei server installati ad hoc nei singoli Paesi.

Un capitolo a parte va dedicato all’Iran: le autorità della Repubblica islamica hanno fallito nel tentativo di censurare la rete. Esempio concreto è stata la “rivoluzione verde” del giugno del 2009, quando milioni di giovani scesero nelle strade per protestare contro la controversa rielezione di Mahmoud Ahmadinejad. Quella rivoluzione è stata un’enorme vittoria anche per la Rete: il servizio di microblogging Twitter è diventato un ottimo strumento per comunicare, un sistema contro il quale la censura non ha potuto nulla, poichè per diffondere una notizia, un grido di aiuto, non serve, in quel caso, neppure una connessione Internet, ma è sufficiente un semplice sms.

L’anno si chiude con il caso Wikileaks. Indipendentemente dai contenuti rivelati attraverso la diffusione di cablogrammi e documenti riservati, è cruciale pensare al mezzo che è stato utilizzato: la Rete. Una rete sociale che fa parte di un nuovo sistema di comunicare e fare informazione, il cosiddetto web 3.0, attraverso strumenti che consentono una condivisione di notizie, in tutti i formati e in tempo reale. È sempre più difficile censurare la Rete, se non tentando di stringere i rubinetti della banda larga.

Ma anche in Cina, uno dei Paesi in cui il governo tenta di controllare ogni segnale sull’etere, si stanno aprendo grosse falle: gli internauti aumentano, cresce la fame di informazione e migliorano le tecnologie per aggirare i blocchi. Non è un caso se dopo la dura battaglia tra Google e il Dragone, si sia riusciti a raggiungere un accordo e a evitare che il colosso di Mountain View abbandonasse il Paese (una minaccia cui nessuno aveva creduto fino in fondo, se si pensa a un mercato da 384 milioni di internauti). Prima di raggiungere l’accordo, Google dimostrò a Pechino con un semplice “switch” (un dirottamento sui server a Hong Kong) di riuscire a rendere accessibili agli utenti in pochi secondi contenuti sensibili, come la strage di Piazza Tienanmen.

A poche settimane dalla fine del 2010, arriva poi l’elezione di Mark Zuckerberg a persona dell’anno della rivista Times. E la Rete ci consegna una foto: il fondatore di Facebook, felpa e jeans, passeggia in un enorme palazzo di Pechino accanto all’amministratore delegato di Baidu, il più grande motore di ricerca della Grande Muraglia. Forse nel 2011 ci saranno altre sorprese.

Fonte: www.lastampa.it

Steve Jobs: uomo dell’anno 2010 per il Financial Times

Per il Financial Times non ci sono dubbi: è Steve Jobs l’uomo dell’anno per il 2010. Il Financial Times, rivolgendosi al co-fondatore della Apple, lo ha definito: “Il visionario della Silicon Valley che con il suo sogno del piccolo schermo ha riportato Apple in vetta”. Un successo dopo l’altro quest’anno per Steve Jobs: a gennaio era tornato sul palco dello Yerba Center a San Francisco dopo mesi di assenza a causa della sua malattia. Un ritorno grandioso, soprattutto grazie alla presentazione dell’innovativo iPad. Il Financial Times parla di “rinascita completa”.

E pensare che dieci anni fa la carriera di Steve Jobs e il destino della Apple erano in pieno declino. Invece adesso il suo iPad è il regalo più atteso da tutti gli internauti italiani per questo Natale 2010, mentre anche i parlamentari se lo sono regalato per le festività natalizie.
Viene spontaneo paragonare Steve Jobs, uomo dell’anno per il Financial Times con Mark Zuckerberg, che recentemente ha ottenuto lo stesso titolo per il Times(anche se i lettori volevano Julian Assange al suo posto). Pare che quando il fondatore della Apple salì agli onori delle cronache per la prima volta, fosse addirittura più giovane del creatore di Facebook.
In merito alla nomina di Steve Jobs come uomo dell’anno 2010, il Financial Times ha dichiarato: “Ora a tre decenni di distanza, Jobs si é assicurato il suo posto fra i titani tecnologici della West Coast. Bill Gates sarà anche più ricco e, al suo picco, avrà anche esercitato una maggiore influenza grazie al monopolio nel software dei pc. Ma il co-fondatore di Microsoft ora ha lasciato il palco per devolvere la sua vita e la sua fortuna a opere buone. Ora è Jobs a essere sotto i riflettori”.

Fonte: www.haisentito.it

Facebook? Mai così invadente…e ora molti vogliono scappare

Mai, come nel 2010, Facebook è stato al centro dell’attenzione dei media. Il Time pochi giorni fa ha eletto «uomo dell’anno» l’inventore e fondatore Mark Zuckerberg, 26 anni. Nelle sale cinematografiche ha spopolato The Social Network, ispirato alla biografia di Zuckerberg stesso (indispettito dal risultato: ne esce come un sociopatico, proprio lui che ha aggiornato il significato della parola «amicizia»). Un trionfo per il regista David Fincher: fuochi d’artificio al botteghino, critica in sollucchero e probabile Oscar in arrivo. In luglio le iscrizioni a Facebook hanno raggiunto e superato quota 500 milioni dopo una cavalcata inarrestabile iniziata nel 2004 per rimorchiare ragazze all’università di Harvard. Negli ultimi dodici mesi solo Google, il motore di ricerca «egemone», ha avuto un maggior numero di contatti in rete.
Esserci dunque sembra un imperativo categorico. Mezzo miliardo di utenti (incluso chi scrive) ha risposto alla chiamata: aprendo una pagina personale, connettendosi e comunicando con «amici» selezionati, aggiornando con messaggi la bacheca, rendendo visibili foto, messaggi, video del proprio diario multimediale.
Eppure… se il 2011 fosse l’anno della fuga da Facebook? Sembra folle solo pensarlo a fronte dei fatti appena ricordati ma qualcosa si muove nel variegato mondo di internet. Mettiamo insieme qualche indizio. Un rapporto di Nielsen Rating (azienda che misura, fra le altre cose, l’audience del web) sostiene che su quattro minuti e mezzo di navigazione, l’utente ne dedica uno ai social network, Facebook o Twitter che siano. E cosa fa in quei sessanta secondi? Quasi sempre, nulla. Statistiche a parte, provate a pensare alle vostre pagine Facebook. Probabilmente avrete molti «amici». Altrettanto probabilmente, però, la percentuale di quelli che aggiornano con assiduità il profilo sarà piuttosto bassa. Qualche anno fa impazzava la moda di Second Life, un mondo virtuale in cui si entrava a far parte col proprio avatar. Per settimane non si parlò d’altro. Il sito ha ancora oltre un milione di iscritti ma sembra una città fantasma. Non sarà certo il caso di Facebook, infinitamente più semplice, utile e sensato ma anche il social network non sembra esplodere di vitalità. Una volta iscritto, sei dentro per sempre, la tua pagina rimarrà come una lapide funeraria anche post mortem. Cancellarsi è difficile (più semplice essere cancellato, spesso per motivi imperscrutabili): quante pagine sono in realtà inattive? Quante volte avete sentito dire a qualcuno che Facebook è una noia interrotta da messaggi di antichi scocciatori ora riapparsi come per magia digitale?
Poi, come raccontava la Repubblica qualche giorno fa, ci sono anche gli «antisociali» organizzati. Aziende o singoli che installano nel computer programmi al fine di escludere dalla navigazione qualsiasi sito abbia a che vedere con i social network. Pazzia? Tutt’altro. Le aziende li installano per evitare perdite di tempo prezioso. In qualche caso, il software antisociale è «prescritto» per interrompere la dipendenza da Facebook e affini. In molti altri è una questione di privacy: c’è chi preferisce tutelare i propri dati. Per vari motivi. Per esempio, chi seleziona il personale ormai butta un’occhiata alle pagine personali, e può trovare foto o commenti sgraditi.

Anche da un punto di vista «ideologico», i frondisti sono in crescita. A luglio, dicevamo, Facebook tagliava un traguardo numerico eccezionale. In agosto, il servizio di copertina di Wired, bibbia degli internauti, era dedicato alla «morte del web». Gli assassini? I motori di ricerca (tradotto: Google) e i social network (tradotto: Facebook) che monopolizzano il mercato e abituano il navigatore a una esperienza ipersemplificata del web. Nemico numero uno: Steve Jobs, creatore di un sistema chiuso in cui Apple controlla i contenuti e la tecnologia per fruirli (iTunes, iPhone, iPad).
Più «filosofica» l’opposizione di Jaron Lanier, rispettato pioniere di internet e della realtà virtuale (l’espressione è stata coniata da lui). Secondo Lanier Facebook è «un software antiumano» perché banalizza l’idea di amicizia e ci chiede di descriverci con tre o quattro parole. In altre parole, ci chiede di interagire con la macchina come fosse una persona. Il che implica che il nostro cervello potrebbe essere considerato niente più di un programma. Le nuove generazioni crescono così «con un’idea riduttiva di ciò che è una persona». Date tempo al tempo: quelle quattro parole diventeranno la nostra vera identità. A meno che non organizziamo una bella evasione da Facebook. Magari nel 2011.

Fonte: www.ilgiornale.it

NATALE: REGALO SBAGLIATO? 8400 SONO GIA’ IN VENDITA SU E-BAY

(ASCA) – Roma, 28 dic – A soli tre giorni dal Natale, le prime inserzioni di regali sgraditi e/o doppi hanno gia’ fatto capolino su eBay. Sono gia’ oltre 8.400 i regali non graditi o risultati doppi apparsi su www.ebay.it. La tendenza e’ sempre in crescita: l’anno scorso, lo stesso giorno, se ne contavano circa 8.000, circa 6.000 nel 2008, 4.000 nel 2007, mentre nel 2006 addirittura meno di 2.000. Al momento, le categorie dove maggiormente si ricicla di piu’ su eBay.it sono Abbigliamento e accessori, Casa arredamento e bricolage e le categorie di prodotti hi-tech.

Secondo un’indagine commissionata da eBay a Tns International, primo sito di commercio elettronico al mondo, sono oltre 4 milioni gli italiani che si sono dichiarati pronti a rivendere i regali non desiderati. E molti lo faranno avvalendosi della rete.

L’indagine ha inoltre rivelato che il Natale 2009 ha lasciato dietro di se’ un 44% di regali indesiderati o doppi, costati complessivamente circa 794 milioni di euro: una bella cifra per lasciarla ”in un cassetto”… meglio rivenderli, e magari con il ricavato comprarsi finalmente il dono perfetto.

Ma da chi arrivano i regali peggiori? Per il 14% arrivano dai parenti acquisiti, soprattutto per le donne (16%), l’11% invece dagli amici e dai componenti delle famiglie allargate.
Se azzeccare i regali e far contenti i destinatari e’ un’arte, anche saperli riciclare senza combinare disastri e ”smistarli” nel modo giusto e’ un mestiere complicato, e internet in questo caso puo’ essere un valido alleato. Poter rivendere facilmente online un regalo non gradito rappresenta l’occasione per dare valore ad un oggetto che comunque non si utilizzerebbe. Secondo una stima basata sui trend d’acquisto settimanali effettuata internamente da eBay, sara’ il 19 gennaio il giorno in cui si prevede il maggior numero di inserzioni di regali riciclati, in particolate nelle categorie Computer, Abbigliamento e Accessori, Auto: ricambi e accessori, e Libri”. Oltre ai saldi nei negozi tradizionali, il post-Natale e’ infatti un ottimo momento per fare grandi affari anche su eBay, con tante occasioni e prezzi scontati.

Fonte: www.asca.it

Guadagnarsi da vivere combattendo lo spam

Daniel Balsam era stufo di ricevere ogni giorno decine di messaggi di posta elettronica non richiesti, così un giorno decise di trasformare un impiccio quotidiano in una nuova opportunità per guadagnare qualche soldo. Otto anni fa, Balsam decise di lasciare il proprio impiego nel settore del marketing per dedicarsi completamente alla lotta contro lo spamming, nelle aule di tribunale. Da allora ha vinto decine di piccole cause, ottenendo risarcimenti che gli consentono di vivere e gli hanno permesso di abbandonare il proprio impiego.

Balsam ha anche creato un sito web, Danhatesspam.com (“Dan odia lo spam”), su cui racconta le proprie esperienze legali e spiega ai lettori come comportarsi per arginare lo spam e citare in giudizio i mittenti della posta indesiderata. L’ex esperto di marketing, che in questi otto anni si è anche laureato in legge, vive a San Francisco e grazie alle norme californiane per arginare il fenomeno dello posta indesiderata ha vinto una quarantina di cause legali.

L’attività è iniziata nel 2002 come un hobby, spiega Balsam alla Associated Press, con piccole cause civili per diventare progressivamente una professione a tutti gli effetti. In California, la legge impedisce alle società di inviare messaggi di posta non richiesti contenenti nelle intestazioni frasi che possano indurre i riceventi a credere che le email contengano offerte commerciali per prodotti gratuiti, per esempio. Ogni messaggio deve inoltre contenere un link che consenta agli utenti di indicare di non voler più ricevere messaggi indesiderati da un particolare mittente.

Il lavoro di Balsam sembra essere abbastanza redditizio, anche se molto dipende dalle decisioni dei singoli giudici sui casi. Lo scorso novembre, per esempio, una causa legale contro la società Various Inc., che controlla il social network per maggiorenni AdultFriendFinder, ha fruttato un risarcimento di 4mila dollari. Balsam aveva ricevuto quattro email non richieste uguali tra loro su quattro diversi account di posta elettronica contenenti nell’oggetto dell’email il messaggio «Ciao, il mio nome è Rebecca, ti amo». Il giudice ha dato ragione a Balsam, dichiarando che il contenuto dell’oggetto violava le leggi della California sullo spamming. I legali di Various Inc. hanno però deciso di appellarsi e la prossima udienza sarà il 5 gennaio.

Nel 2007, Balsam ha invece ottenuto un risarcimento pari a 7mila dollari da parte della società Trancos, accusata di inviare messaggi di spam senza l’opzione per cancellarsi dalla ricezione di altre email dalla medesima azienda. Il giudice ha dato ragione a Balsam, ma nella sentenza ha comunque ricordato che l’autore della causa legale non è propriamente un utente della Rete come tutti gli altri poiché gestisce circa cento diversi indirizzi di posta elettronica. Un numero così alto di account serve per aumentare le probabilità di ricevere spam che non rispetta le regole imposte dalla legge californiana.

Balsam ha anche avviato un’azione legale contro Tagged, uno dei social network più utilizzati negli Stati Uniti. Le due parti hanno raggiunto un accordo riservato, ma in un secondo momento la società ha deciso di avviare una propria iniziativa legale quando Balsam ha comunicato la decisione di pubblicare sul proprio sito i termini dell’accordo. La causa potrebbe protrarsi a lungo e una vittoria potrebbe fruttare diverse migliaia di dollari all’ex esperto di marketing.

Secondo i detrattori, Balsam adotta stratagemmi che non sono poi molto differenti dai trucchi e dai cavilli legali sfruttati da chi fa spamming online. Predilige quasi sempre società di medie dimensioni, contro le quali intraprende piccole cause civili che spesso si risolvono con un accordo tra le parti per un risarcimento, soluzione che consente alle aziende di eliminare rapidamente il problema ed evitare le spese per un processo.

L’attività di Balsam rimane comunque una goccia nel mare nella lotta contro lo spamming online. Secondo le stime di Cisco System, una delle più grandi società nella produzione e distribuzione di sistemi e dispositivi per le reti informatiche, ogni giorno vengono inviati almeno 200 miliardi di messaggi non desiderati, pari al 90% di tutti i messaggi email inviati e ricevuti in una giornata.

Fonte: www.ilpost.it

Copiare i «file» non è un furto

Non c’è furto in caso di copiatura di file con dati riservati sulla clientela di un’impresa. Semmai rivelazione del segreto professionale, se a commettere l’infrazione è un dipendente della società che in questo modo favorisce la concorrenza. A precisare i contorni dei reati è la Corte di cassazione con la sentenza n. 44840 della quarta sezione penale depositata ieri.

Il caso approdato davanti ai giudici della cassazione era quello di un impiegato che, poco prima di dare le dimissioni, si era fatto trasmettere da un collega sul proprio computer aziendale una serie di dati e offerte commerciali; inoltre, in un secondo momento, l’uomo accedeva al server centrale dell’azienda, spostando altri dati riservati sul proprio indirizzo privato, utilizzandoli poi a vantaggio di un’impresa concorrente della quale, dopo le dimissioni, diventava co-amministratore.

I giudici precisano innanzitutto che la semplice produzione non autorizzata di file contenuti in un supporto informatico altrui non deve essere considerata come furto perché non si verifica la perdita del possesso della cosa interessata da parte del legittimo proprietario. Per la corte, infatti, che richiama la relazione sulle norme in materia di reati informatici, i dati e le informazioni contenuti nel file non sono compresi nel concetto di «cosa mobile». Esclusa anche la possibilità di contestare il reato di accesso abusivo a un sistema informativo con password aziendale per finalità estranee alle ragioni istituzionali.

Non serve, inoltre, la creazione di una nuova fattispecie penale, visto che la presa di conoscenza di notizie riservate può essere incasellata in altri reati. Come per la rivelazione di segreto professionale o di segreto industriale (per la corte non esiste una differenza apprezzabile). Illecito che consiste non solo nel rivelare il segreto professionale ma anche nell’impiegarlo a proprio o altrui profitto, come è avvenuto nel caso esaminato dalla Cassazione, visto che i dati riservati erano poi stati utilizzati dall’imputato per permettere alla società concorrente di formulare ai clienti offerte più convenienti.

Fonte: www.ilsole24ore.com

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