Comma3 - Strumenti e soluzioni per comunicare con internet

Categoria: Approfondimenti Pagina 18 di 25

Perchè usare AdSense? 10 buoni motivi per sceglierlo

Perché Adsense è così popolare? Qual è la differenza fra un banner pubblicitario tradizionale e Adsense? In quest’articolo, vi forniremo 10 ragioni valide per usare AdSense.

Perché il mio sito non è in prima posizione nei motori di ricerca?

Questa è la domanda che da esperto di Web Marketing – il marketing di Internet – mi sento porre continuamente. A questa domanda non esiste una singola risposta ma una serie di contro domande che pongo al mio interlocutore. Il quale il più delle volte resta a bocca aperta e completamente ignaro delle risposte che mi dovrebbe fornire.

Social media management o email marketing?

Spesso si pensa che una cosa escluda l’altra e il dibattito è ancora molto aperto. Molta e influente letteratura online però evidenzia come le due tecniche insieme garantiscano ottime performance. Altro mito circolante tra molti grandi sostenitori del Social Business è quello per il quale l’email marketing sarebbe morto o quantomeno non distante dal suo tramonto definitivo.

L’isola felice della pubblicità online: +12%

La decima edizione dello Iab Forum e i dati sugli investimenti pubblicitari sul web

Mentre il settore continua a digrignare i denti, la pubblicità online si conferma isola felice. Anche se deve fare i conti un rallentamento rispetto all’anno scorso. Come tradizione, lo IAB Forum snocciola in apertura i dati sugli investimenti pubblicitari nostrani in Rete e fa riferimento un +12% nel 2012, a fronte della flessione complessiva del comparto dell’8,4% testimoniata da Nielsen. A differenza degli anni scorsi, non è stato fornito il dato degli investimenti in valore assoluto. Il 2011 si era chiuso con un rialzo del 15% a toccare quota un miliardo e 200 milioni di euro e, anticipa il presidente di IAB Italia Simona Zanette, la stima di crescita rispetto al punto di partenza attuale per i prossimi 12 mesi è del 10%.

IL DIGITALE – L’appuntamento milanese sulla comunicazione digitale, giunto alle decima edizione, apre oggi nella speranza che l’Agenda digitale di recente costituzione dia l’impulso per l’impennata definitiva. Oggi, spiega Zanette, «il confronto fra televisione e Internet ci mette davanti a una situazione in cui in ogni casa c’è un apparecchio televisivo, mentre a Internet è connesso il 54% della popolazione, 28 milioni di utenti (dato Audiweb relativo a giugno 2012, ndr)». E per chi fa pubblicità e deve diffondere il messaggio a tappeto non è un particolare trascurabile. Questa mattina Mario Calderini, consigliere del ministro dell’Istruzione Francesco Profumo e coordinatore del gruppo di lavoro Smart Communities Agenda Digitale, e Alessandro Fusacchia, consigliere del ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera e coordinatore della task-force per le startup, si soffermeranno nella cornice meneghina sulle misure previste dal governo per favorire la penetrazione del digitale nell’economia nostrana.

ALFABETIZZAZIONE – Zanette drizza le orecchie quando si parla di “alfabetizzazione e infrastrutture” che permetteranno all’audience online di crescere e, conseguentemente, agli investitori di acquisire fiducia nella piattaforma. Al momento, la faccia sorridente della medaglia è proprio quella che collega la tv all’online: in Europa, negli ultimi due anni la «fruizione in differita di programmi su tablet o smartphone è cresciuta del 750%», spiega Zanette facendo riferimento a una ricerca della versione comunitaria di IAB. L’Italia, con i suoi 25 milioni di telefoni cellulari intelligenti e il sopracitato legame con l’ex tubo catodico, è potenzialmente molto reattiva e l’Interactive Advertising Bureau tricolore si aspetta che «il video advertising funga da traino». Nei negozi, fa notare Zanette, l’offerta di «smart tv con navigazione integrata, fra i nuovi modelli, supera già quella di apparecchi classici»: ci sono quindi ottime ragioni per immaginare un futuro non troppo lontano in cui saremo esposti al messaggio pubblicitario su un doppio/triplo fronte e anche in momenti diversi dalla diffusione del contenuto da parte dell’emittente televisiva.

IL TARGET – Guardando al futuro, sarà la possibilità di intercettare il target di utenti potenzialmente interessato al prodotto o al servizio a fare la differenza. Zanette fa riferimento alle piattaforme di Real time bidding che «negli Stati Uniti fagocitano il 40% degli investimenti e nel Regno Unito il 30%». Trattasi di una soluzione che permette ai portali «nel rispetto della privacy dell’internauti», di individuare le caratteristiche e gli interessi di chi sta navigando fra le sue pagine e di ingolosire gli inserzionisti alla ricerca di utenti con appetiti specifici.

Fonte: Corriere della Sera

 

Lettera al presidente Monti da un piccolo imprenditore della pubblicità

Caro Presidente Monti,

ho 39 anni, mi occupo di pubblicità da 17 anni, e da più di 16 sono un imprenditore.
Un piccolo imprenditore: la mia agenzia oggi conta poco più di 40 persone. Ma un imprenditore che nel suo piccolo, insieme ai suoi soci, si dà un gran da fare, da sempre.
Le scrivo in questo inizio d’autunno perché, come mi accade sempre, sono tornato dalle vacanze estive pieno di voglia di fare, di inventare, di creare. Ma la prima mail che ho letto è stata una circolare del mio commercialista su “riforma del lavoro, nuova deducibilità costi auto e nuova deducibilità contributo SSN dei premi assicurativi delle auto”. L’ho letta e subito l’effetto adrenalina estiva è passato.
E mi chiedo – molto ingenuamente, lo so – se le domande che io e i miei soci continuiamo a porci siano mai transitate sulla scrivania del suo Governo.
Non avrei mai pensato di rivolgermi direttamente al Presidente di qualsiasi Governo del passato, ma oggi è diverso. Oggi c’è una persona onesta e interessata al bene dell’Italia, questo è quello che penso.
E allora dico: ma lo sa che ci sta passando la voglia?
Nell’illusorio dubbio che lei non lo sappia, e certi che le interessi sapere perché, ecco le nostre domande, ognuna con un piccolo commento per contestualizzare.
Magari le arriveranno in qualche modo. La rete – si dice – è democratica e potente. O magari non le leggerà, ma potranno servire a verificare se qui in giro siamo gli unici a porcele senza trovare risposta.

1. È davvero indispensabile continuare a tassare i costi che le aziende sostengono? Non sarebbe più giusto, sano e perfino educativo aumentare – se proprio serve, e so che serve – le tasse sui profitti?
Parlo dell’IRAP (che tutti quelli che vendono servizi odiano visceralmente, perché del tutto iniqua e disincentivante soprattutto verso le assunzioni del personale) ma anche delle riprese fiscali. Il messaggio che passa (e che viene rafforzato dalle piccole ma significative modifiche alle soglie di deducibilità di alcuni costi) è questo: “meno assumi persone, meno paghi di tasse. Meno spendi e consumi, meno paghi di tasse. Visto che con la crisi sei già tentato di tagliare, con questi incentivi non puoi tirarti indietro”. Non sarebbe invece più sensato e utile per tutti (e per l’occupazione prima di tutto) invitare le aziende che riescono ancora a crescere in fatturato a reinvestire tutto il loro margine in persone e servizi, invece di fare il contrario?

2. È producente togliere a un piccolo imprenditore la possibilità di avvalersi di collaborazioni, o renderle impraticabili per i loro costi, e non fornire alcun incentivo all’inserimento del personale, proprio in un momento come questo?
È il Governo che scrive le regole, ma penso che la cecità sia anche dei sindacati. Qualche lavoratore dovrebbe dirglielo, che a causa delle continue strette sulle forme contrattuali tra un po’ le imprese di servizi (quelle che vivono esclusivamente del lavoro delle persone) si troveranno costrette e ridurre il personale, creare nuovi disoccupati, chiedere un extra sforzo ai pochi dipendenti che si potranno permettere. Ma non ne leggo, non ne sento parlare. Se si chiude una fabbrica si va in piazza, se una legge ha come effetto collaterale quello di bruciare migliaia e migliaia di opportunità per i singoli allora non se ne dice nulla. Invece bisogna dirne. Per capire di cosa parlo, io oggi ho un cliente che mi firma un contratto di un anno per gestirgli la pagina Facebook. Ho bisogno di un collaboratore che, per quel progetto specifico, mi dia una mano. Non posso. Se è un ragazzo che sta finendo l’università non posso dargli 800 euro al mese (che gli farebbero un gran comodo, lo inserirebbero in un mondo lavorativo, lo aiuterebbero a formarsi un’esperienza rivendibile su un ambito in forte crescita). Invece non posso.
La partita IVA non va bene se fattura solo a me. Il contratto a progetto prevede che non abbia nessuno a cui rispondere (invece il cliente è dell’Agenzia, e lui deve collaborare con il team creativo e strategico, assunto e ben pagato).
E se lo assumo a tempo determinato devo dargli minimo 1.000 euro, con contributi aumentati (perché il tempo determinato è cattivo) che portano il costo della sua prestazione per un anno a 27.000 euro. Insostenibile per un singolo progetto. E soprattutto ingiusto come costo per un ragazzo che non ha mai lavorato prima: non per snobismo, ma perché uno come lui deve essere ben seguito. E seguire e formare una persona è un ulteriore importante costo per un’azienda. Non so cosa farò, probabilmente chiederò alle persone che ho già regolarmente nello staff di farsi qualche ora di lavoro in più, imparare cose che non sanno fare, assumendomi il rischio di un lavoro fatto peggio e soprattutto negando a un ragazzo fortunato (perché sa fare quello che chiede il mercato) l’opportunità di scongiurare il pericolo disoccupazione.
È davvero incredibile: noi come agenzia (e come noi molte altre a Milano) abbiamo molto bisogno di giovani svegli, magari al primo o secondo impiego, da formare e inserire in quest’area. Ci sono opportunità occupazionali, udite udite! Ma come facciamo? A queste condizioni dovremo selezionare solo gente che abbia già esperienza, perché rischiare con un novellino da formare non vale la pena.
Così chi ha già un lavoro lo può cambiare, chi non ce l’ha rimane alla finestra. È così che si rilancia l’economia? Sarò stupido io, ma mi sembra di no. Invece di incentivare gli inserimenti, invece di creare opportunità per i ragazzi più giovani, si fa il contrario.
P.S., già che ci sono: come faccio a pagare una collaboratrice che merita 8.000 euro per un lavoro (fatto da casa sua in due mesi)? Lei fa un altro mestiere, non posso chiederle di aprire la partita Iva solo per me, per un una tantum!
La pagherò allora solo 5.000, il resto mancia, peggio per lei. Possibile che nessuno si accorga che chi ci rimette sono i lavoratori? E se anche fossero le imprese, sarebbe meglio?

3) E infine la domanda più importante: chi me lo fa fare? Fare l’imprenditore, rischiare del proprio per creare un’impresa, per dare posti di lavoro, non è qualcosa che dovrebbe essere incentivato e premiato?
Invece ci sentiamo puniti. Quando dopo un anno duro come il 2011 tiriamo le somme, verifichiamo che – in controtendenza – siamo cresciuti del 20% in fatturato e del 20% in numero di persone impiegate, chiudendo un bilancio con quasi il 10% di utile lordo, noi vorremmo festeggiare. Ma se poi il 75% di questo utile lordo viene versato in tasse (e avendo l’80% dei costi fissi come costi del personale, di contributi ne abbiamo già versati allo Stato per oltre il 40% del nostro fatturato) la voglia un po’ ci passa.
Quando poi gli spiccioli che avanzano vengono distribuiti, ecco che vengono di nuovo tassati.
Ma non è nemmeno questo. Qualche spicciolo è meglio di niente, e se c’è bisogno di pagare l’80% di tasse sugli utili per qualche anno (sperando non sia sempre così) può anche andare bene, tappandosi il naso e sentendosi parte di una comunità che ha bisogno del nostro aiuto come quello di tutti. Ma se per caso nel 2012 dovessimo chiudere un bilancio in pareggio, perché invece di chiudere il portafoglio, ridurre lo staff e puntare al profitto a breve termine avremo deciso – da buoni padri di famiglia, come ci chiede il codice civile – di continuare a investire in attesa di tempi migliori?
Nell’attesa di questi tempi migliori, meglio evitare alle persone di lavorare il doppio allo stesso costo (come fanno altri nel nostro settore per sopravvivere), accettando l’obiettivo del pareggio, per arrivare a fine anno a dirci “bravi, è andata, abbiamo fatto quadrare i conti, non è un anno per portarsi a casa dividendi ma l’agenzia è cresciuta ancora”?
Ma se davvero arrivassimo così a fine anno, lo Stato si congratulerebbe, ci ringrazierebbe, ci premierebbe? Ci incentiverebbe a fare ancora di più e meglio l’anno dopo? No. Ci punirebbe.
Ipotetico utile lordo 1.000 euro, perdita dopo le tasse di 100.000 euro. L’IRAP di cui sopra. Le riprese fiscali di cui sopra. 100.000 euro (dopo averne fatturati 3.500.000, e spesi altrettanti) che tireremmo fuori di tasca nostra, noi imprenditori. Senza averli, perché l’anno prima – che è andato meglio – abbiamo dato tutto in tasse.
Siamo tre soci, ognuno di noi potrebbe avere lo stesso stipendio (o qualcosa di più) lavorando come manager per una multinazionale. Chissà se non sceglieremo quella strada, alla fine.
E poi ai 40 dipendenti che lavorano con noi cosa racconteremo? Che fare impresa non ci conviene? Che si cercassero un nuovo impiego, e buona fortuna, visto che lavorano in una industry, quella della pubblicità, che continua a tagliare posti di lavoro? “Ma come?”, ci risponderebbero. “Abbiamo preso nuovi clienti, fatturato di più, chiuso in (piccolo) utile. Abbiamo visto arrivare nuovi colleghi, licenziati da altre grandi agenzie. E ci dite che volete chiudere? Non è giusto, non fatelo”.
Per questo, fino a oggi, non lo abbiamo fatto né abbiamo progettato di farlo. Ma basta, per favore, metterci alla prova con questa disattenzione. Se è vero che in Italia il mondo del lavoro è fatto da tante piccole imprese, che a botte di 40 persone alla volta danno stipendi a milioni di persone, provate a dare qualche pacca sulle spalle agli imprenditori che fanno la loro parte. Tassate al 90% gli utili, se volete. Ma non fateci passare la voglia di lavorare, di rischiare, di investire, di assumere, di fatturare. Di fare piccola impresa.
Ecco tutto, caro Presidente Monti. Come facciamo? Quando inizieremo a vedere piccoli segnali nella direzione dell’incentivazione all’impiego, al consumo, alla sana gestione?
Io non ci credo che questa non sia una priorità per tutti. Iniziamo almeno a parlarne?

Se serve una mano per comunicare, noi siamo a disposizione. Naturalmente gratis!

Emanuele Nenna

Fonte: SPOT and WEB

Non è mai troppo tardi…per rifarsi il look!

Come promesso, abbiamo atteso il vostro ritorno dalle vacanze per accogliervi con un sito tutto nuovo, nei contenuti e nella veste grafica: questa volta non vi racconteremo la nostra ultima realizzazione, faremo molto di più…vi parleremo di noi, presentandovi il nostro nuovo sito.

Quando operare su Internet era ambizione di pochi, era tutto più semplice: i siti erano solo un mezzo per reperire contatti in maniera facile e comoda ma erano i canali tradizionali a farla da padrona e a decretare la fattibilità di un progetto. Insomma bastava esserci, anche se il sito era un semplice catalgo prodotti/servizi in formato elettronico, anche se il sito non parlava di te. Oggi non c’è nulla di più sbagliato…avere un sito che non rispecchi le reali caratteristiche aziendali significa sprecare tempo e denaro, indebolendo la Corporate Image.

Sono state queste convinzioni che ci hanno motivato a ristrutturarci pensando ad un sito internet in cui la nostra strategia di fare impresa poteva trovare riscontro nelle parole, nelle icone, nelle sfumature di colori e nelle sezioni completamente rinnovate. Tutto che parli di noi: della nostra storia, della mission, dello staff, dei nostri servizi, delle partnership, dei progetti, di voi Clienti…perchè siete il nostro migliore biglietto da visita.

L’aspetto grafico, volutamente solare e pulito, garantisce una navigazione veloce e piacevole, favorendo al contempo una consultazione quanto mai mirata dei contenuti. Abbiamo dato grande spazio a ciasun prodotto, con schede dettagliate che ne illustrano le caratteristiche, le Faq (Frequently Asked Question) più importanti, la possibilità di richiedere un preventivo gratuito e i Clienti che hanno scelto quella soluzione. Dalla sezione Portfolio potrete scorrere tutti i Clienti per cui abbiamo lavorato nel corso degli anni, divisi a seconda del servizio attivato. Le Case History sono i progetti più significativi, quelli che raccontano meglio il nostro lavoro grazie a piani di comunicazione integrata, mentre nella sezione Clienti abbiamo selezionato le storie di lungo successo, i Clienti con i quali abbiamo condiviso sfide e obiettivi e che ancora oggi continuano a riporre fiducia in Comma3. Il sito è ottimizzato per dispositivi Mobile e permette, inoltre, di restare sempre in contatto con le news dal mondo Comma3, grazie al nostro blog e alle nostre pagine ufficiali sui Social Network.

Da 14 anni nel mercato dei new media e delle web solutions e oggi con un nuovo look, vi invitiamo a navigare nel mondo Comma3, sicuri che l’attesa abbia aumentato il vostro desiderio di continuare a seguirci.

Buona visione!

Lo staff di Comma3 S.r.L.

YouTube da record, 48 ore di video caricate ogni minuto

Dopo 6 anni di attività YouTube taglia il traguardo di oltre 48 ore di video caricate ogni minuto: un record risultato di una sfida che il sito aveva lanciato a novembre. Ogni minuto su YouTube vale dunque due giorni di video: un aumento del 37% rispetto agli ultimi 6 mesi e del 100% rispetto allo scorso anno.

A determinare la crescita fattori come un processo di caricamento più rapido, una maggiore durata dei video, il live streaming per i partner come, fra i più recenti, le nozze dei Reali d’Inghilterra e la Beatificazione di Giovanni Paolo II.

Inoltre, lo scorso weekend, la community ha contribuito a far superare i 3 miliardi di visualizzazioni al giorno, un incremento del 50% rispetto all’anno precedente. In prospettiva, questo dato equivale a quasi la metà della popolazione mondiale che ogni giorno guarda un video su YouTube.

Negli ultimi anni sono tante le cose fatte: sempre più iniziative globali come la YouTube Symphony Orchestra (un successo anche nella seconda edizione) o Life in a Day, sempre più partnership con produttori di contenuti come quella con La7, sempre più interviste in live stream con i grandi della terra come quella del Presidente Obama o del Presidente Zapatero.

Prossimo obiettivo per il sito le 72 ore di video al minuto o i 4 miliardi di visualizzazioni al giorno.

Fonte: http://www.lastampa.it

In azienda la rivoluzione dei social network E’ il momento della Weconomy

ROMA – Facebook, Skype, Youtube: sul lavoro non sono occasione di distrazione, ma piuttosto strumenti che stanno rivoluzionando in positivo le relazioni tra colleghi e tra aziende, favorendo la collaborazione e la trasparenza. E’ quanto emerge da un’indagine che verrà presentata il 24 maggio a Milano, in occasione del Weconomy Day, organizzato da Logotel e dal Centro Formazione Management del Terziario (CFMT). Secondo l’indagine, effettuata dal CFMT, e che ha coinvolto un campione di oltre 1.000 imprese dei servizi e del commercio, il 20% delle aziende italiane del terziario utilizza le piattaforme di social network. La più utilizzata in azienda è Skype (48%), seguita da Linkedin (36,8%), Facebook (29,8%), Youtube (26,4%), e infine dalle piattaforme wiki (19%) e dai blog (17,3%). Percentuali destinate ad aumentare nel prossimo futuro.

Molti manager sono convinti che l’uso di quelli che sono stati definiti strumenti di “weconomy”, cioè di economia condivisa, non possa che favorire l’impresa. “Nel modello economico che sta prendendo piede – spiegano gli analisti del CFMT, centro di ricerca nato nel 1994 per iniziativa di Confcommercio e Manageritalia – quello riassumibile nella tendenza contemporanea alla condivisione e alla partecipazione, la vecchia impresa fordista basata su una visione e gestione egocentrica non ha nulla da raccontare, nessuna risorsa per coinvolgere collaboratori, fornitori e clienti. L’impresa del futuro è invece quella che democratizza i processi gestionali, co-progetta e stimola questa preziosissima massa critica di talento collettivo verso la creazione di valore nelle reti globali”.

In altre parole le nuove piattaforme tecnologiche possono anche contribuire all’emersione dei talenti all’interno delle realtà aziendali. “Dal basso, dal bordo, il web 2.0, i social network, la generazione digitale stanno facilitando e imponendo nuove pratiche”, scrive Giuliano Favini, amministratore delegato di Logotel, nella prefazione di Weconomy, di Isaac Mao, il libro che teorizza questa evoluzione della struttura delle imprese, tendenza che è stata battezzata “sharismo”.

Tuttavia, perché le piattaforme di social network adottate all’interno dell’azienda possano dare davvero questi risultati positivi, occorre seguire una serie di regole. Secondo l’indagine della CFMT, i manager ritengono che innanzitutto occorra “raccontare chiaramente la promessa della piattaforma ai partecipanti” (69%), “garantire una radicale trasparenza sulle decisioni chiave e sui financial metrics” (58,8%) e “creare o eleggere una community governance board, così da orientare e revisionare le principali decisioni politiche e strategiche (45,9%).

“Co-operation” (52%) e Co-working (42%) sono i cardini, secondo i manager intervistati, dell'”impresa collaborativa”. Che promuove anche la “trasparenza dei criteri di valutazione dei risultati e delle professionalità” (58%), le assunzioni in base a criteri di merito professionale (41%) e la partecipazione al rischio abbastanza ampia (35%). Il 52% dei manager intervistati ha affermato anche di aver adottato strumenti di “formazione più coinvolgente e condivisa”, e di aver favorito la creatività collettiva (26%). La cooperazione vale anche all’esterno, verso le altre imprese: ha promosso network di questo tipo il 49,7% degli intervistati.

Percentuali troppo ottimistiche? In effetti in Italia, ammettono gli organizzatori del Weconomy Day, si parla pochissimo di queste nuove tendenze. E probabilmente la svolta impressa dall’uso dei social network in azienda sta muovendo ancora i primissimi passi. Tuttavia il CFMT, oltre ad avviare una riflessione su questo tema con la giornata del 24, intende promuovere un tour all’interno delle aziende italiane, per far conoscere “i nuovi strumenti collaborativi”.

Fonte: http://www.repubblica.it

Il tag alla conquista del mondo intanto Facebook lo brevetta

“NON MI taggare che sono venuto male”, “Se mi tagghi non vale” e ancora “Ti vorrei taggare”, per indicare un certo gradimento dell’altro, o “Mi ha taggato la polizia”, ovvero ho ricevuto una multa. Voce del verbo – non ancora riconosciuto dal dizionario italiano – taggare che, assolutamente in voga nel linguaggio di giovani e meno giovani iscritti a Facebook, ora diventa pure un brevetto riconosciuto dall’US Patent and Trademark Office 1. Se è vero che ai tempi del social network lasciarsi è pure un po’ staggarsi  –  a molti è toccato almeno una volta togliere il tag dalla foto con l’ex fidanzata o con l’amica non più troppo cara – è vero anche che il riconoscimento dell’Uspto ufficializza un sistema diventato più di una moda. Con circa 100 milioni di immagini caricate  –  e taggate – ogni giorno su Facebook è questo uno degli ingredienti del successo del maggiore social network del web oltre che secondo sito più visitato subito dopo Google.

Tagging, così come viene descritto nella scheda del brevetto numero 7,945,653 registrato il 17 maggio 2011, è un sistema per contrassegnare contenuti digitali. Il metodo, che prevede la selezione di un media digitale e di una regione del media, può includere l’associazione di una persona o di un’entità all’interno della regione selezionata e l’invio di una notifica alla persona o all’entità citata nel tag. Più difficile da spiegare che da fare per la maggior parte degli utenti di Facebook che da ora in poi utilizzeranno un sistema inventato da Marck Zuckerberg, Aaroon Sitting e Scott Marlette ogni volta che, cliccando su un’immagine, su un video, su un file musicale o su un testo, assoceranno a quel contenuto un nome.

Ci sono voluti circa cinque anni, dal momento del deposito della richiesta di brevetto per il tagging, per far ottenere a mister Facebook, al product architect Sitting e all’ex ingegnere Marlette la paternità del sistema che prevede come ulteriore funzione associata alla notifica anche l’invio di contenuti pubblicitari. È inoltre di pochi giorni fa l’introduzione del tag anche per marchi, prodotti e personaggi famosi, così a chi vorrà identificare quella popolare bevanda immortalata nella foto della festa basterà collegare l’immagine alla fan page della bibita con il tagging.

Oltre all’aspetto economico dell’ultima vittoria di Zuckerberg e compagnia  –  solo alcune settimane fa sempre a Facebook veniva riconosciuta la paternità del sistema di regali virtuali  –  il brevetto garantisce un discreto controllo sulle altre piattaforme sociali che da ora in poi dovranno guardarsi bene dall’introdurre sistemi che possono anche solo ricordare il tagging. Che d’ora innanzi è made in Facebook.

Fonte: http://www.repubblica.it

Più internet mobile e boom di app “Viviamo una rivoluzione mobile”

MILANO – Digitiamo sempre più sms, chiamiamo di continuo e spendiamo molto più degli scorsi anni per collegaci alla rete con gli smartphone e scaricare le applicazioni. Il rapporto quasi simbiotico degli italiani con i cellulari non accenna a raffreddarsi, ma l’uso che facciamo di questo mezzo si sta evolvendo in fretta. A testimoniarlo sono gli ultimi numeri di uno studio realizzato dall’Osservatorio Mobile Internet della School of Management del Politecnico di Milano 1, che ha monitorato tutti i capitoli di spesa degli italiani quando si parla dell’uso del cellulare.

“Si è attivato un circolo virtuoso che ci induce a parlare di Mobile Revolution – spiega Andrea Rangone, Responsabile Osservatori ICT del Politecnico di Milano – Perché rivoluzionarie sono le peculiarità del mezzo che possono essere sfruttate, l’impatto che il Mobile avrà sul comportamento del consumatore e quello che avrà anche sulle imprese e sulle pubbliche amministrazioni”.

Lo studio dell’Osservatorio fotografa un settore in rapida evoluzione, che nel suo complesso di connessioni, contenuti e pubblicità vale ormai 1.121 milioni di euro in un mercato, quello delle telecomunicazioni mobili. da oltre 20 miliardi e mezzo di euro. Le connessioni e i contenuti hanno registrato una crescita del 7% dopo lo stop dell’anno scorso. Ma dietro questa cifra ci sono settori in rapido declino e altri che fanno ormai la parte del leone e che nei prossimi tempi incideranno sempre più nel mercato. Si parte dalle connessioni da cellulare, cresciute del 27% in un solo anno e per le quali gli italiani spendono più di mezzo miliardo di euro. La diffusione di dispositivi sempre più “web-centrici” ha fatto bene soprattutto ai contratti flat, sottoscritti ormai da quasi 4 navigatori mobili su 10 e in crescita del 43% rispetto al 2009.  Questa esplosione di nuove collegamenti porta a 11 milioni il numero degli italiani che va in rete dal cellulare, quasi la metà di coloro che si connettono dal pc di casa e dell’ufficio. Una connessione più breve e “ripetitiva” di quella tradizionale però, che dura in media mezz’ora al giorno e ripercorre sempre gli stessi siti.

L’altro grande settore in forte espansione non poteva che essere il mercato delle app: Appstore di Apple, Android market, Ovi Store di Nokia e GetJar sono solo alcuni dei più conosciuti “negozi” di programmi per cellulari, ma all’elenco si sono aggiunti di recente gli store degli operatori telefonici. Questo piccolo universo, che fino al 2008 attirava meno dell’1% della spesa per i contenuti mobili, ha registrato una crescita del 113% nell’ultimo anno e adesso vale il 9% della torta. Un valore però di gran lunga inferiore a quello generato dai contenuti “tradizionali” come le suonerie, i giochi e gli sms di dating che, suppure in calo da qualche anno, continuano ad attirare il 91% della spesa complessiva degli italiani.

“Nonostante il grande fermento di tutti gli attori del mercato per il boom degli smartphone venduti e delle Applicazioni sviluppate, le dinamiche di crescita si dimostrano forse più lente di quelle che qualcuno ipotizzava – commenta Filippo Renga, Responsabile della Ricerca Mobile Internet, Content & Apps – Si tratta di un mercato che necessita di tempo per trasformare gli enormi numeri riguardanti offerta e download in ricavi, sia pay che pubblicitari”.

Le sfide dei prossimi anni, su cui sono puntati gli occhi di tutti gli osservatori, sono la diffusione della rete ultraveloce mobile nel paese, la sempre maggior penetrazione degli smartphone tra i consumatori (settore in cui l’Italia è già all’avanguardia), la battaglia trai diversi sistemi operativi mobili e il ruolo delle piattaforme di pagamento mobile. La rivoluzione è appena cominciata.

Fonte: http://www.repubblica.it

Pagina 18 di 25

Powered by WordPress & Tema di Anders Norén